Da azione compensativa a leva per lo sviluppo dei territori: così è cambiata negli anni la politica di coesione. Un tratto che con il prossimo regolamento del ciclo 2021-2027 si farà ancora più marcato. Ne è sicuro Francesco Monaco, responsabile del Dipartimento politiche di Coesione e investimenti territoriali di Anci-Ifel, tra i protagonisti della giornata di approfondimento sui temi della nuova programmazione delle risorse europee che si è tenuta il 6 dicembre scorso su iniziativa di Ifel Campania al Museo di Pietrarsa.
Monaco inizia il suo intervento ripercorrendo le tappe principali della politica di coesione dai primi accenni nel Trattato di Roma passando poi al 1975, anno dell’istituzione del Fondo Regionale di Sviluppo. “Inizialmente la politica di coesione – spiega il responsabile Anci-Ifel – fu pensata essenzialmente per finalità compensative: il mercato unico e la libertà di circolazione di persone, capitali e lavoro generavano fenomeni di polarizzazione, ossia l’accumulazione di ricchezza e opportunità in alcuni territori e la marginalizzazione di altri. Questo fece ritenere necessario un intervento di compensazione o, si potrebbe anche dire, di redistribuzione dei frutti dello sviluppo del mercato unico”.
La svolta verso una politica di coesione diversa si ebbe con l’atto unico del 1985 e si concretizzò con il Trattato di Lisbona del 2007 diventando più esplicita con i regolamenti del ciclo di programmazione 2014-20. “Si passava allora da una politica di redistribuzione ad una vera e propria politica di sviluppo, da un’Europa che elargiva compensazioni caritatevoli ad un continente più forte, capace di mettere nelle stesse condizioni di crescita tutti i territori”.
Questa svolta prese il nome di ‘place-based approach’. “Un documento fondamentale che ci fa capire le caratteristiche di questa nuova politica di coesione – spiega Monaco – è quello pubblicato a fine 2011 e poi adottato nelle convenzioni del 2012. In esso venivano esplicitate tutte le novità che i regolamenti comunitari avrebbero proposto nel successivo ciclo di programmazione: 7 innovazioni di metodo, 3 opzioni strategiche, 11 aree tematiche”. La svolta si è concretizzata in un approccio che guarda ai risultati attesi, alla corrispondenza tra azioni e obiettivi, alla certezza delle tempistiche, ad una nuova idea di partenariato, alla trasparenza, alla valutazione. Tutte innovazioni che conducono all’attuale logica di programmazione.
“In Italia – continua Monaco – registriamo oggi una situazione di sofferenza nella spesa che si attesta ad una quota, quella del 12%, che è più bassa della media europea al 18,8% e lontana dalle percentuali di paesi più performanti che superano il 27%”. A ostacolare un uso efficace delle risorse, secondo l’esperto di Anci-Ifel, sono sia fattori interni (ritardi nell’approvazione dei regolamenti, sovrapposizione dei cicli programmatici, numerosità di programmi operativi) che esterni come il mancato raccordo tra strumenti di pianificazione e programmazione e l’assenza di strategie territoriali. Il superamento di questi ostacoli e di altre barriere imposte da elementi di contesto, come il nuovo codice degli appalti e la burocrazia che rallenta i tempi di realizzazione delle opere, rappresenta la vera sfida per il futuro.
“La novità positiva – dice Monaco guardando al ciclo di programmazione 2021-27 – è che, se il negoziato sulle prospettive finanziarie si chiudesse oggi, la proposta della commissione ci darebbe più soldi di quanti ne abbiamo nell’attuale periodo di programmazione, da 36,2 miliardi passeremmo a 38,6”. Di negativo ci sono invece problemi che le nostre istituzioni si portano dietro da anni e che potrebbero, se non risolti, essere accentuati con la costruzione della nuova politica di coesione.
Uno di questi riguarda l’efficacia della progettazione nella pubblica amministrazione, un altro il tema della semplificazione. “Le autorità di gestione dovrebbero cercare, se possibile, di concentrare gli interventi diminuendo la frammentazione. Una cosa è fare controlli su 100mila progetti, un’altra su 30mila: cambia completamente il mondo”. Un discorso che porta Monaco ad auspicare “una maggiore condivisione all’interno del partenariato, perché concentrare significa anche scontentare. E se scontenti un Comune devi essere anche bravo a spiegare a quei cittadini che l’intervento fatto in un’area limitrofa porterà benefici anche a loro”.
L’ultimo pensiero è per le città che si candidano a essere organismi intermedi. A loro è richiesto un salto di qualità. “Il semplice status di città non ti dà il diritto e l’onere di essere organismo intermedio con tutto ciò che questo comporta, ossia capacità di selezionare i progetti, gestire, parlare a tu per tu con la Regione. Ci deve essere qualcosa in più. Registro positivamente che le città della Campania rispetto al panorama nazionale, dove gli assi urbani non sono neanche partiti, hanno tutte le capacità per farcela”.
La preoccupazione semmai è un’altra: “Occorre fare in modo che il documento strategico che le città sono chiamate a scrivere non sia altra cosa rispetto agli strumenti ordinari”. Il concetto è semplice: ogni intervento straordinario slegato da una logica di programmazione complessiva finisce per avere un’efficacia che è limitata alla sola fase della sua realizzazione. Al contrario “valorizzare la programmazione ordinaria mettendo la coesione dentro questi strumenti costituisce un elemento di successo indispensabile”.
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