EconomiaInvestire risorse per digitale e nuove competenze nella Pa

Investire risorse per digitale e nuove competenze nella Pa

di Angelo Rughetti*

In questi mesi di emergenza sanitaria la Pubblica Amministrazione ha dimostrato di avere capacità di resilienza. Con un po’ di sorpresa si è visto che la PA ha retto all’impatto del COVID-19; non ci si riferisce alla sanità, funzione sulla quale il giudizio è ben più articolato e disomogeneo, ma a tutto quello che viene considerato servizio pubblico e che viene erogato a terra. Dal comune più piccolo fino al Ministero più grande non si è mai avuta un’interruzione dei servizi essenziali offerti ai cittadini. Abbiamo assistito ad un cambio repentino di abitudini e prassi che ha consentito alla macchina amministrativa di andare avanti (e non era scontato).

Non dobbiamo dimenticare infatti che l’Italia era il secondo Paese europeo per la diffusione di tablet e smartphone ma era il penultimo nell’utilizzo di sistemi digitali nei processi lavorativi sia nel pubblico che nel privato. Non era semplice immaginare un adattamento così immediato al nuovo modo di lavorare e questo è da sottolineare in modo positivo. Quale è l’insegnamento che possiamo trarre da questo periodo di adattamento all’emergenza sanitaria? È necessario capitalizzare quello che siamo stati costretti a fare in queste settimane. Non deve essere una parentesi ma un nuovo inizio. Non deve essere una ripartenza ma l’inizio di un cambiamento, perché ripartire vorrebbe dire tornare ad essere come eravamo prima. Tornare alla nostra normalità vorrebbe dire tornare indietro, mentre noi abbiamo bisogno di portare nella gestione ordinaria, quanto di straordinario abbiamo messo in campo in queste settimane.

Nella Pubblica amministrazione (ma anche nel settore privato) è stata immessa una massiccia dose di lavoro a distanza. Poche regole e tanto buon senso hanno consentito di gestire rapporti e relazioni, riunire consigli di amministrazione e giunte, dare soluzioni, sfornare prodotti, documenti, slides, di erogare servizi; insomma di generare valore aggiunto diffuso, di aumentare la produttività. Da più parti si è chiesto di dare un nuovo “vestito regolatorio” a questo modo di lavorare, insomma di fare subito un bel contratto nazionale o addirittura una legge. Ma siamo sicuri che le regole siano la priorità? Io credo che prima di pensare ai contratti dovremmo valutare in profondità gli effetti prodotti dal lavoro agile.

Occorrerebbe misurare ad esempio la diminuzione del CO2 legata alla mancanza degli spostamenti dei lavoratori, la riduzione dei permessi per malattia, il numero dei prodotti realizzati, le ore di straordinario consumate, la rideterminazione degli spazi logistici, i consumi di energia. in altri termini dovremmo misurare le esternalità che sono state generate da questo modo nuovo di produrre servizi pubblici.

La riduzione dei costi ambientali, sociali ed economici prodotti dal lavoro agile, vanno presi in considerazione alla stessa stregua dei costi di gestione della macchina amministrativa e vanno messi in relazione. Solo così potremmo effettivamente comprendere quale sia il giusto equilibrio da raggiungere fra regole, da un lato, e modo attraverso il quale viene richiesta la attività lavorativa, dall’altro, e decidere se incentivare il lavoro da remoto e in che termini eventualmente limitarlo. Quali diritti dei lavoratori garantire e quali compromessi positivi salvaguardare. La rincorsa alla legge o al contratto nazionale non può non tenere conto di questa comparazione.

Altrimenti si rischierà di fare delle regole teoriche molto corrette che salvaguarderanno individualmente la singola prestazione di lavoro o la capacità dei singoli enti di dare servizi ma a discapito dell’aumento dei costi sociali. Per l’ennesima volta ci saranno pochi a guadagnare e tanti a pagare. Spero che non si vada verso una visione retrò che porti ad una regolamentazione rigida e prevalga, al contrario, la tendenza a trovare sui territori il giusto equilibrio. Allo stesso tempo penso che non sia più rinviabile un forte investimento che porti nella PA risorse per il digitale e per l’acquisizione di nuove competenze.

Per troppi anni si è deciso di fare cassa riducendo la spesa per il funzionamento della macchina della Repubblica, forse è arrivato il momento di “cambiare verso” sul serio visto che fra qualche mese ci sveglieremo con un rapporto fra spesa pubblica e PIL molto più alto di oggi e quindi avere una spesa pubblica produttiva sarà più conveniente per tutti.

 

*Segretario Fondazione Ifel Campania

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