di Valeria Mucerino
Più della vista del Vesuvio, quasi più dell’abbraccio di un congiunto lontano. Chiedi ad un napoletano cosa gli è mancato di più nei cento giorni di lockdown e quasi sicuramente ti risponderà: il piacere del caffè al bar.
Eh si, perché per un napoletano che si rispetti non si tratta solo di caffè. L’espresso al bar è un momento di serenità, un piacere quotidiano che inizia la mattina prima di andare a lavorare e prosegue per tutto il resto della giornata. È scambiare quattro chiacchiere col barista parlando del calcio Napoli, del meteo, della città, è il rallentare della frenesia quotidiana fatta di appuntamenti, impegni e riunioni.
Un’abitudine che a partire da quel famoso 8 marzo 2020 si è trasformata quasi nel simbolo di una normalità che si stava perdendo a favore di una nuova routine in cui anche le parole più utilizzate non erano più le stesse: virus, mascherine, bollettini, ordinanze, un gergo non familiare nelle giornate pre Covid-19.
La reclusione domestica, le strade deserte, le file per la spesa. La città è dovuta cambiare in fretta e all’improvviso i piccoli piaceri quotidiani hanno lasciato il passo ad un’atmosfera irreale fatta di smart working, di esercizi commerciali con le saracinesche abbassate e via via di canti dai balconi.
La chiusura dei bar durante l’epidemia ha tenuto in stand by l’identità di un’intera città, una storia secolare che nessuno aveva mai osato interrompere. Il famigerato caffè sospeso diventa il panaro sospeso, un’iniziativa che ha fatto il giro del mondo, nata per caso in uno dei vicolo della solidarietà di Napoli.
Passano i mesi, e gradualmente si esce fuori dal lockdown, prima con ordinanza n. 37 firmata dal presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che sancisce la riapertura solo per l’asporto e la consegna a domicilio, e poi con la tanto attesa “fase 2”.
Il 18 maggio, con ordinanza n.48, in Campania riprendono i “servizi alla persona”, le attività commerciali al dettaglio e i bar, ma per il solo servizio al banco. Sui social dei napoletani lentamente spuntano selfie con le foto dei bicchieri di carta con i primi caffè, poi dalla carta di passa alla tazzina classica, quella bollente, come vuole la tradizione.
L’interazione non è più la stessa, un plexiglass separa dal barista e al bancone si sta al massimo in tre. Un ritorno ad una normalità che, inizialmente, sa ancora poco della ritualità e gestualità di sempre, si procede sin prisa pero sin pausa, per citare qualcuno.
Non si parla ancora di campionato, almeno fino alla vittoria dell’SSC Napoli della Coppa Italia, e del meteo interessa ancora poco, a farla da padrone tra le chiacchiere da bar c’è la gestione dell’emergenza, la felicità della ripresa, il piano socioeconomico messo in campo dalla Regione Campania, le nuove regole da seguire, l’uso della mascherina che rende irriconoscibili clienti e baristi. Ma si torna a godere della compagnia degli amici e si recupera quel gesto familiare a tanti napoletani, ritorna anche la frase tipica “Comme ‘o faje tu ‘o cafè nun ‘o fa nisciun”, e tanto basta per sentirsi di nuovo a casa e riprendere il possesso di quell’identità che ormai non si vuole più fermare.