di Valeria Mucerino
Per i fiori d’arancio bisognerà aspettare. Bloccato, immobile, chiuso. Il settore del wedding è in crisi e la stagione dei matrimoni, che da aprile ad oggi avrebbe visto il suo momento migliore, è costretto a fare i conti con il Covid-19, non senza ripercussioni economiche.
La crisi generata dalla pandemia ha stravolto i programmi di promessi sposi e famiglie e ha inevitabilmente colpito i bilanci delle aziende: dal catering alla fotografia, dai trasporti al florovivaismo, dai viaggi all’abbigliamento, dal trucco alle acconciature, dai ristoranti alle location da matrimonio.
Solo in Campania l’indotto del wedding coinvolge circa 400mila lavoratori e produce oltre 2,7 miliardi annui, parliamo all’incirca 27mila matrimoni in un solo anno. In questa regione, molto più che in altre, il business legato al wedding raggiunge numeri da capogiro. Un asset economico per il territorio campano che incide su migliaia di posti di lavoro di alta professionalità.
Una favola interrotta anche per la categoria dei gestori e dei proprietari di dimore d’epoca e storiche. Si è sentito spesso parlare negli scorsi anni del cosiddetto fenomeno del “wedding tourism” in Campania, ossia il turismo legato alle location più belle per matrimoni e ricevimenti: castelli, chiese, edifici storici che negli anni hanno rappresentato uno strumento per valorizzare le entrate del Comune e delle attività locali, ma che oggi risente della forte crisi del reparto matrimoni. Per molti borghi si tratta di un vero e proprio investimento che favorisce la crescita di profili professionali qualificati. Senza contare che queste attività consentono il sostegno al continuo e necessario restauro di questi beni che rappresentano il patrimonio architettonico della regione.
A lanciare l’allarme nelle cronache dei giornali è Stefano Sgueglia, imprenditore e proprietario di due castelli. Quello di Limatola e quello di Rocca Cilento (attualmente oggetto di un importante intervento di recupero architettonico). Location che, oltre a soffrire per la mancanza di matrimoni, dovranno fare i conti anche con i mercatini di Natale che per questo 2020 non illumineranno il Salone delle feste con le sue volte abbellite da affreschi del ‘700.
“Nel 2019 quasi 4 mila ricevimenti nuziali si sono svolti nelle dimore d’epoca e storiche della Campania. Un decimo della popolazione regionale ogni anno è interessata da almeno uno di questi eventi creando un indotto economico importante” riferisce Sgueglia, console di Assocastelli.
Stessa sorte per il Castello Mediceo di Ottaviano, bene confiscato alla camorra ed affidato successivamente al comune di Ottaviano. Il castello della legalità che negli anni aveva ritrovato il lustro di un tempo grazie ai vari interventi della Soprintendenza per i Beni Architettonici.
Una sorte, quella delle dimore storiche, che non trova risposte nemmeno tra le righe del Decreto Ristori varato dal Governo.
“Con dispiacere e incredulità apprendiamo che, ancora una volta, la categoria degli immobili storici è stata esclusa e penalizzata dai provvedimenti del Governo”, dichiara Giacomo Di Thiene, Presidente dell’Associazione Dimore Storiche Italiane. “Il Dl Ristori – prosegue -, attraverso le fattispecie dei codici ATECO, interviene infatti a favore delle sole attività ricettive, convegnistiche e di organizzazione eventi svolte in forma di impresa. Eppure, proprio per espressa previsione normativa del codice civile, i soggetti che svolgono questo genere di prestazioni all’interno di edifici storici sono autorizzati a farlo in forma individuale. Ne consegue la totale esclusione delle attività svolte dagli immobili storici ai sensi del Decreto Ristori, che risulta quindi discriminatorio“.
Il settore del wedding pretende risposte, soprattutto perché il lieto fine tarda ad arrivare. Ma questo matrimonio “s’ha da fare”, prima o poi, magari tra i castelli e i borghi più belli della Campania.