di Giuseppe Carlo Ricciardi* e Letizia Reale**
La grave situazione che abbiamo conosciuto nei primi mesi di quest’anno e che stiamo ancora vivendo in conseguenza del diffondersi del virus Covid-19, rappresenta un’emergenza quasi senza confini. Tutte le situazioni di emergenza – e quella attuale non fa altro che confermarlo – richiedono risposte rapide in ragione della loro urgenza, e, per tale motivo, sovente comportano l’attivazione di percorsi decisionali incentrati sull’Esecutivo.
In linea generale, sono ravvisabili tre tipologie di approcci nel governo dell’emergenza sanitaria: regimi derogatori previsti dalla Costituzione; specifiche situazioni di emergenza disciplinate dalla legge ordinaria; infine, il ricorso agli strumenti già presenti nell’ordinamento, ancorché attivati secondo dinamiche peculiari attagliate all’emergenza. La principale differenza intercorrente tra i primi due approcci consiste nel fatto che, nel primo, gli strumenti sono attivabili al ricorrere di fattispecie molto generali (come lo stato di emergenza o lo stato di eccezione), mentre nel secondo, la disciplina di rango subordinato alla Costituzione rimane latente fino al momento della necessità di concreta utilizzazione. Nel terzo, si opera una torsione degli strumenti giuridici già presenti nell’ordinamento, finalizzandoli alla gestione emergenziale.
Su queste premesse, diviene interessante comprendere come si atteggia il rapporto tra Stato ed Enti sub-statali in Paesi europei anche molto diversi tra loro, allo scopo di verificare come possa inquadrarsi l’approccio adottato in Italia rispetto a tali esperienze.
Il caso Francese
Muoviamo, ad esempio, da quanto accaduto in Francia. Nell’esperienza transalpina colpisce la scelta del Governo d’Oltralpe di fronteggiare la pandemia approvando una legge con la quale è stato introdotto, per vero soltanto a partire dal 23 marzo 2020, un inedito état d’urgence sanitaire. Per contrastare in concreto la crisi, il Primo Ministro può stabilire per decreto misure volte a limitare le libertà di circolazione, di iniziativa economica e di riunione, ma anche ulteriori misure dirette a consentire la requisizione di beni e servizi necessari per porre fine all’emergenza sanitaria.
Gli è concesso, in questo particolare momento, persino intervenire con un controllo sui prezzi.
A livello decentrato, è il Prefetto a poter assumere misure generali o individuali per dare esecuzione – sul territorio dipartimentale di competenza, equiparabile per certi versi alle nostre Province – alle misure adottate dal Primo Ministro e dal Ministro della Solidarietà e della Salute. Il Prefetto può essere addirittura autorizzato ad assumere decisioni in piena autonomia, laddove si ravvisi la necessità che le misure restino circostanziate alla circoscrizione del dipartimento di competenza.
L’aspetto che accomuna i livelli di intervento succintamente descritti risiede nella loro riconducibilità ad un’idea unitaria di ordinamento, in cui i poteri di gestione della crisi restano comunque allocati al livello centrale, ferma la copertura ad essi riconosciuta dalla Costituzione: infatti, essi permangono anzitutto in capo allo Stato, nonché in capo ai Prefetti, quali rappresentanti locali dello stesso Governo a livello decentrato, alle condizioni sopra richiamate. Questo assetto riesce ancor più comprensibile nella sua coerenza intrinseca, laddove si consideri che in Francia i livelli di governo sub-statali (Comuni, Dipartimenti e Regioni) hanno carattere meramente amministrativo e, di conseguenza, sono sprovvisti di potestà legislativa. L’approccio adottato, dunque, sembra realizzare in concreto un tratto caratteristico dell’ordinamento francese, informato all’uniformità.
La risposta del governo spagnolo
Un altro Paese che, come la Francia, non ha reagito immediatamente al dilagare dell’epidemia è stato la Spagna. L’Esecutivo spagnolo ha dichiarato lo stato di allarme per la gestione della crisi sanitaria causata dal Covid-19 a partire dal 14 marzo 2020. A differenza di quanto accaduto in Francia, però, il Governo ha preferito dichiarare lo stato di allarme, piuttosto che ricorrere alle misure contenute nelle leggi in materia sanitaria o sulla protezione civile. D’altra parte, tale dichiarazione può essere pronunciata nei casi di crisi sanitarie ed epidemie tali da non poter essere affrontate e risolte con i mezzi ordinari.
Nell’attuale pandemia, il Governo è dovuto intervenire per meglio definire l’interazione tra Stato ed Enti sub-statali, in quanto la normativa vigente in materia non disciplina il ruolo delle Comunità Autonome, almeno nelle ipotesi generali di emergenza. Così, è stata espressamente riconosciuta a queste ultime la possibilità di modificare, ampliare o restringere nel territorio di competenza le misure adottate a livello centrale, soprattutto per quanto riguarda i provvedimenti concernenti la libertà di circolazione. A livello centrale, inoltre, il Ministro della Salute, individuato quale rappresentate unico delle autorità competenti a gestire le funzioni derivanti dalla pronuncia dello stato di allarme, deve agire in sinergia con le Comunità Autonome.
Alla luce di quanto detto, in Spagna è possibile constatare il ruolo centrale rivestito dalle Comunità Autonome nella graduale riapertura del Paese. Infatti, proprio ad esse spetta il compito di stabilire il raggiungimento dei requisiti per definire il superamento della c.d. “fase 3”, assumendo una responsabilità di non poco conto sulle future evoluzioni del contagio e, indirettamente, dell’economia. Tale approccio all’emergenza appare distante rispetto alle scelte francesi e, a primo acchito, conferma il rilievo che le Comunità autonome rivestono nell’ordinamento costituzionale.
In Germania…
In Germania non è stato dichiarato alcuno stato di emergenza e non c’è stato il ricorso a strumenti straordinari. Piuttosto, si è assistito al potenziamento e all’adattamento degli strumenti ordinari già a disposizione delle autorità, fondato sull’assunto che le caratteristiche dell’emergenza sanitaria in corso non comportassero un pericolo particolare rispetto all’ordinamento democratico del Bund o di un Land. Ecco perché la Germania ha preferito intervenire modificando direttamente la legge federale, attraverso la legge per la gestione delle epidemie ed autorizzando le autorità ad adottare “tutte le misure necessarie” a contrastare e contenere le malattie infettive.
Su queste premesse riposa la competenza riconosciuta alle autorità dei Länder e dei Comuni ad attuare la legge federale con misure proprie. Specialmente nella prima fase dell’emergenza, i Länder hanno quindi assunto iniziative tra loro differenziate, talvolta contraddittorie. Infatti, le prime misure di distanziamento sociale adottate dal livello centrale erano state presentate come mere raccomandazioni ai Länder, i quali restavano liberi di attuarle o addirittura di ignorarle. Considerato poi che ai Länder è concesso legiferare nell’ambito delle competenze concorrenti con la Federazione in quelle materie e nella misura in cui la stessa non si sia ancora pronunciata, essi hanno consequenzialmente adottato proprie leggi sulla protezione contro i disastri, attraverso una varia interpretazione dello “stato di calamità”. In ogni Land, dunque, si è assistito alla concentrazione dei poteri di reazione nelle mani delle Presidenti dei distretti e dei Sindaci (i.e. le autorità esecutive).
Le risposte offerte dal sistema tedesco per contrastare la pandemia risultano assai differenziate sul territorio, ma appaiono maggiormente aderenti a quanto accaduto nei vari distretti. Questa declinazione a geometria variabile è verisimile che si possa registrare anche nella fase di ripresa dallo stress test dell’epidemia, se non altro perché ad ogni Land è consentito predisporre proprie regole e correlative tempistiche, ad esempio in relazione alla riapertura di cinema, teatri, ristoranti, ma anche per gli asili e le scuole materne. Tale approccio rappresenta la concretizzazione del principio di proporzionalità nella ponderazione fra restrizioni all’esercizio di alcuni diritti e tutela del diritto alla salute in base all’effettiva situazione sanitaria riscontrabile nei territori. Nonostante quanto osservato, peraltro, è stato promosso un intervento coordinato tra Federazione e Länder per garantire un governo uniforme sul territorio federale, pur nella diversità di misure in concreto realizzate su aspetti di maggiore dettaglio; e anche in Germania, pur con la declinazione multilivello descritta, la crisi sanitaria ha condotto ad un accentramento di alcuni poteri nell’Esecutivo.
La reazione della Svizzera
A differenza dei casi finora analizzati, la Svizzera aveva già adottato il 28 febbraio 2020 un primo provvedimento per gestire l’emergenza, interamente sostituito dall’ordinanza del 13 marzo 2020, con la quale sono state introdotte misure più stringenti. Occorre sottolineare che la Svizzera dispone di un testo normativo che ben si attaglia al governo dell’epidemia: la legge federale sulla lotta contro le malattie trasmissibili dall’essere umano. In tale contesto emergenziale, l’Esecutivo può intervenire con l’emanazione di ordinanze, la cui esecuzione compete sempre ai Cantoni.
Certo non sono mancati episodi di conflitto tra le misure adottate dai Cantoni e le ordinanze della Confederazione. In particolare, le autorità cantonali hanno deciso di imporre la chiusura totale delle attività considerate non essenziali, in contrasto con la misura federale: nella propensione al dialogo che caratterizza il sistema svizzero, tuttavia, l’ordinanza è stata più volte riadattata fino al punto di riconoscere ai Cantoni un potere di deroga preordinato alla conservazione delle misure da essi adottate in aperto conflitto con il diritto federale vigente. In Svizzera, quindi, l’emergenza sanitaria è stata gestita preservando il riparto delle competenze tra Consiglio federale e Cantoni e nonostante ciò possa rappresentare, secondo l’opinione di alcuni, un ostacolo al raggiungimento della sintesi necessaria nel ricorrere di situazioni d’urgenza, il decentramento ha assolto ad una funzione di garanzia contro l’accentramento del potere, in linea con la vocazione confederale elvetica.
In Italia
Giungendo infine al caso italiano, osserviamo come il Consiglio dei Ministri abbia dichiarato lo stato di emergenza tempestivamente, già il 31 gennaio 2020. Il Governo ha, tuttavia, affrontato l’emergenza ricorrendo a una procedura extra ordinem inedita, legata agli ormai noti DPCM (decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri), cioè a fonti di secondo grado avulse dalla dialettica con il Parlamento, che rinvengono la propria “copertura” giuridica in decreti legge successivamente convertiti in legge. Per vero, si tratta di strumenti assai diversi rispetto a quelli già previsti dalle leggi di polizia sanitaria in vigore: si pensi all’art. 32 della Legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, il quale conferisce al Ministro della Sanità (oggi della Salute) il potere di adottare ordinanze di carattere contingibile e urgente in materia di igiene e sanità pubblica, con efficacia estesa all’intero territorio nazionale o a parte di esso.
La scelta di accentrare le decisioni nel Presidente del Consiglio risponde probabilmente al timore di non riuscire ad assicurare con le ordinanze del Ministro della Salute la necessaria autorevolezza ed unità di interventi garantite, invece, dallo strumento del decreto presidenziale, specialmente a fronte di una maggioranza non sempre compatta. Si tratta di un’opzione nei fatti efficace, eppure discutibile, dal momento che l’ordinamento giuridico, con la previsione del potere di ordinanza in capo al Ministero competente, aveva già individuato ex ante lo strumento giuridico da utilizzare in simili frangenti. Con la dichiarazione dello stato di emergenza, anche gli altri soggetti – diversi dal Ministro della Salute – ai quali l’ordinamento riconosce il potere di ordinanza in materia di igiene e sanità pubblica hanno potuto esercitare tale potestà: ci si riferisce, ad esempio, al Presidente della Giunta regionale, nonché al Sindaco, i quali hanno il potere di emettere ordinanze contingibili ed urgenti con efficacia estesa alla Regione, o parte di essa, e al territorio comunale, al ricorrere dei presupposti richiesti dalla richiamata legge n. 833/1978 o da altre leggi di settore (cfr. ad es. il Tuel).
V’è da precisare che il quadro risulta ancor più articolato in ragione della sovrapposizione di competenze tra Stato e Regioni in materia di salute. Infatti l’art. 32 della Costituzione configura il diritto alla salute come diritto fondamentale di natura individuale e collettiva, l’art. 117, comma 2, della Costituzione attribuisce allo Stato la potestà legislativa in materia di “profilassi internazionale”, mentre la “tutela della salute” rientra tra le materie di legislazione concorrente ex art. 117, comma 3, Cost., sicché alle Regioni spetta il potere di emanare norme di dettaglio attuative dei principi determinati dallo Stato. Da tale disposizione discende la legittimità dell’istituzione di differenti sistemi sanitari regionali, che presentano performance ed organizzazione anche molto distanti tra loro. Ne è derivato un assetto dell’ordinamento sanitario a geometria variabile, sul quale, nelle attuali condizioni straordinarie legate alla pandemia, si innestano ordinanze di più attori pubblici potenzialmente tra loro contrastanti o parzialmente sovrapposte.
Quello che potrebbe sembrare un panorama fin troppo variegato, sarebbe apparso molto più coerente se solo gli strumenti di raccordo tra Stato ed autonomie (ad es. il sistema delle Conferenze), fossero stati utilizzati secondo le loro potenzialità; cosa che non è accaduta, ed anzi, è stata superata da una prassi di rapporti informali e non coordinati tra livelli di governo, condotta dal Governo nazionale al di fuori dai canali istituzionali preordinati a garantire una sintesi politica ed amministrativa.
Infatti, con il decreto-legge del 23 febbraio 2020 veniva riconosciuto alle (non meglio precisate) “autorità competenti” il potere di adottare ulteriori misure rispetto a quelle indicate nel decreto stesso, statuizione che ha favorito la produzione di provvedimenti dei Presidenti delle Regioni sovente più restrittivi rispetto a quelli stabiliti a livello nazionale. Il Governo, per rimediare all’incertezza generatasi nei rapporti tra Stato e Regioni, ha cercato in seguito di razionalizzarne l’interazione: se, da un lato, si è stabilito che debbano essere sentiti i Presidenti delle Regioni, laddove sia interessata una determinata Regione – o il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nell’eventualità che l’intervento coinvolga l’intero territorio nazionale – dall’altro, viene ora espressamente sancito il potere delle Regioni di adottare ordinanze aventi ad oggetto misure più restrittive rispetto a quelle disposte dal livello centrale, purché sussistano “specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso” e limitatamente al tempo necessario per intervenire attraverso l’emanazione di un nuovo D.P.C.M., con esplicita esclusione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale. Così facendo, si è introdotta di fatto una gerarchia tra questi provvedimenti, sicché attualmente le ordinanze regionali possono essere emanate in attesa che siano adottati i provvedimenti statali; i decreti adottati dal Presidente del Consiglio, infine, una volta emanati, prevalgono rispetto a qualsiasi ordinanza precedente.
Attualmente, alla luce di quanto si è detto, il potere attribuito alle Regioni presenta carattere residuale e risulta esercitabile unicamente nelle more dell’adozione dei decreti presidenziali, quasi fosse un potere limitato alla gestione delle “emergenze nelle emergenze”, ovverosia a quegli eventi a carattere regionale che minacciano la salute della popolazione e la cui gravità non consenta di attendere l’adozione delle misure statali.
Dalla breve ricostruzione operata, emerge quanto segue.
In Italia, come in Spagna e in Francia, sono stati innumerevoli i provvedimenti adottati dai vari livelli di Governo. Siffatti interventi sono giustificati dalla presenza di un nesso di strumentalità tra la situazione emergenziale e le misure effettivamente adottate; a differenza di quanto accaduto, ad esempio, in Germania o in Svizzera, tuttavia, non sarà possibile per i Presidenti delle Regioni approvare misure meno restrittive, in evidente contrasto con le indicazioni statali.
Nel rapporto tra livelli di governo, l’esperienza degli altri Paesi sembra tendenzialmente confermativa della tradizione giuridica dei rispettivi sistemi giuridici.
Nel nostro Paese si è cercata una sintesi tra livelli di governo realizzatasi “per tentativi”, come sempre accade quando si decide di agire al di fuori dei binari previsti dall’ordinamento. Nel dibattito pubblico, la percezione di una gestione confusa della pandemia è stata imputata alla sovrapposizione di competenze tra Stato e Regioni e sono talora riecheggiate voci tese a disconoscere il valore delle autonomie locali e le potenzialità insite nella compresenza di sistemi sanitari regionali differenziati.
A riguardo, vale la pena di rammentare che il principio autonomistico ha carattere fondamentale e non negoziabile nel nostro assetto costituzionale; la pandemia, inoltre, ci ha insegnato come i territori non vengano colpiti tutti allo stesso modo, nello stesso tempo, esigendo semmai risposte differenziate in ragione delle specifiche situazioni di fatto, come del resto è richiesto dall’applicazione del principio costituzionale di eguaglianza sostanziale, il quale impone di trattare situazioni uguali in modo eguale e situazioni diverse in modo diverso, pur nel rispetto di una profilassi internazionale uniforme. La soluzione, dunque, non consiste nell’appiattimento verso un unico paradigma, qualunque esso sia purché assicuri una soluzione rapida. Semmai essa risiede nell’evitare l’improvvisazione e nell’affidarsi alla leale cooperazione, nelle sedi istituzionali ove questa è sperimentabile. Ciò rende la sintesi decisionale più faticosa, ma assicura coerenza tra le misure.
Questo è uno degli insegnamenti che anche il Governo italiano pare abbia parzialmente metabolizzato, come confermano alcune recentissime ordinanze adottate dal Ministro della Salute d’intesa con i Presidenti di Regione: finalmente un caso di sintesi politica e unità d’intenti dinanzi all’emergenza, non una contrapposizione nella confusione. L’auspicio è che si proceda su questa strada valorizzando le potenzialità dell’assetto autonomistico della Repubblica, espressione autentica del principio democratico.
* Docente di Diritto amministrativo italiano e comparato presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia.
** Borsista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Pavia.