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Non perdere l’abitudine di centrare gli obiettivi, facendo la propria parte

di Giovanna Marini

Difficile, anzi difficilissimo continuare – come doveroso – l’impegno di pubblicare la nostra Rivista evitando di trasformare i nuovi numeri in uscita in pessimistici “bollettini di guerra”. È come se la pandemia in atto avesse steso un velo, trasparente ma soffocante, su tutto ciò che si fa o che si progetta; su tutto quello che si è progettato in passato e che ora deve essere dispiegato in azioni concrete; su ogni analisi di fabbisogni del territorio che pure permangono nonostante l’attuale emergenza, la quale ci impedisce di guardare oltre la nebbia che ci dà una visuale di un metro, o poco più, che è poi la distanza che ci suggeriscono di adottare per la sicurezza del non contagio, e che diventa la breve distanza in cui rimaniamo intrappolati se non troviamo il coraggio di riprendere ad immaginare, con ottimismo, il futuro.

Non sappiamo se andrà tutto bene, ma sappiamo che andrà, che questo momento passerà, e non dobbiamo perdere l’abitudine di centrare i nostri obiettivi, facendo la propria parte, o il proprio mestiere, che nel mondo delle istituzioni locali è il bellissimo mestiere di amministrare i territori con una visione di lungo termine che incida sulla qualità della vita dei cittadini.

In questi giorni sentiamo parlare di una sorta di nuova sindrome, la pandemic fatigue, che si può tradurre in stanchezza, apatia, demotivazione, e non solo degli individui, ma delle stesse imprese; è la sensazione che non ci sia uscita alla fine del tunnel, o che il tunnel non finisca mai. Mi piace immaginare quanto tutto ciò sembrerà assurdo quando la paura sarà finalmente azzerata dalla presenza di un vaccino e la vita di tutti riprenderà freneticamente produttiva più e meglio di prima, più e meglio di ieri, perché avremo vissuto un’esperienza inimmaginabile e l’avremo superata.

Ed è puntando lo sguardo sul futuro che in questo numero diamo conto del POC Campania 14-20 per il completamento dei progetti POR FESR 07-13, con la chiusura di circa 1.400 interventi localizzati in tutto il territorio campano portati a compimento. E sempre in linea con la positività progettuale e propositiva, diamo conto di una forte attenzione alla rigenerazione urbana, ormai imprescindibilmente legata ad un buon governo del territorio.

Napoli sembra finalmente uscire dalla ristrettezza dei dibattiti decennali sulla riqualificazione di Bagnoli ed entrare a pieno titolo nei processi di recupero, attraverso interventi sia pubblici che privati, che hanno focalizzato l’attenzione su aree abbandonate, o sul Polo universitario di San Giovanni, sull’intervento realizzato su Piazza Garibaldi o sull’area dell’ex scalo merci FS di Napoli Centrale.

Poi, certo, non potevamo non concentrarci su problematiche attuali quali quella inerente il mondo della scuola. Qui ci siamo sentiti di poter dare un contributo in termini di suggerimenti sui piani di azione che forse avrebbero dovuto essere elaborati molto prima dell’inizio dell’anno scolastico, nel qual caso si sarebbe evitata questa ripartenza a singhiozzo per nulla imprevedibile qualche mese fa. Che lo slogan #lascuolanonsiferma non sarebbe bastato ad operare una magia risolutiva lo sapevamo tutti, ma chi aveva la responsabilità di farlo doveva mettere in campo strategie complessive, con una visione dell’intero campo di azione, non con sterili dibattiti su metro statico o dinamico o su banchi con o senza rotelle! Ciò che accade in questi giorni non era solo prevedibile ma anche molto probabile, così come probabili erano le attuali reazioni a macchia di leopardo delle singole regioni su cui è stata lasciata la responsabilità di valutare in loco i pericoli della recrudescenza dei contagi. E non è un bel vedere la polemica, a suon di missive, che si è scatenata tra istituzioni nazionali e territoriali.

Altra problematica attuale ci è parsa quella del ruolo della burocrazia, con i suoi tempi statici, a fronte delle necessità ultradinamiche dettate da una legislazione d’emergenza. Inaspettatamente il più forte grido d’allarme è venuto dai vescovi della Cei, che hanno sottolineato anche il pericolo di crescita del divario tra Nord e Sud del Paese. Essi ritengono non solo che nel periodo emergenziale non si stia riuscendo a fare arrivare sussistenza a chi ne ha diritto, ma anche che la lentezza della burocrazia abbia operato negativamente nel passato, ad esempio laddove la pesantezza delle procedure ha impedito di accedere ai Fondi Europei che erano una grande occasione per l’Italia in generale e per il Sud in particolare. Quello che a mio avviso colpisce di più nell’intervista al parroco Matino, pubblicata su questo numero della Rivista, è il richiamo all’umanità che deve permeare anche l’azione del burocrate: lui la chiama burocrazia umana, perché “se rispetti le carte ma non rispetti l’uomo non servi più allo scopo”.

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