di Valeria Mucerino
Alzi la mano chi non ha mai avuto a che fare con un simpatico cameriere napoletano che mentre declama a voce alta il menu del giorno ai clienti, per fare uno scherzo, dice: “E poi abbiamo una grande specialità: gli spaghetti alla sorella del cuoco! Alla puttanesca!“.
A Napoli, luogo d’origine della celebre ricetta, succede spesso che lo spaghetto alla puttanesca venga accompagnato da battute di questo genere, va da sé che non si fa certo fatica, a casa nostra, a comprendere le ragioni che hanno portato alla ribalta il caso della “puttanesca” che ha coinvolto una famosa chef inglese.
Nigella Lawson, per gli appassionati del food, è una vera e propria istituzione. La scrittrice e cuoca inglese è tra le pioniere delle trasmissioni televisive e della letteratura dedicate all’alimentazione, essendo presente ininterrottamente in TV addirittura dal 1999 (anno del suo primo programma “Nigella Bites”) e sugli scaffali delle librerie dall’anno prima (con “How to Eat: Pleasures and Principles of Good Food” – Come mangiare: piaceri e principi del buon cibo). Da allora la sua fama e la sua immagine hanno fatto il giro del mondo, arrivando al grande pubblico anche attraverso la partecipazione, in qualità di giudice, a trasmissioni seguitissime come Master Chef, versione USA e Australia.
Di recente, però, la stampa italiana le ha tributato, diciamo così, gli onori della cronaca per una questione più politica. Lawson, infatti, grandissima appassionata ed estimatrice della cucina italiana, ha pubblicato sul suo blog la sua versione della celebre “puttanesca” chiamandola “Slattern’s Spaghetti”, ovvero Spaghetti degli svogliati o degli sciatti, motivando la scelta con l’osservazione che per questa ricetta sembra più adatto un nome che richiami la sciatteria di chi non ha voglia di andare a fare la spesa e si accontenta di cucinare con ingredienti in scatola piuttosto che una prostituta.
I media italiani, però, hanno preso il nuovo nome della ricetta come un esempio di ossessione per il politicamente corretto e hanno dato la notizia come un episodio di “cancel culture” rispetto al presunto carattere offensivo della denominazione tradizionale, costringendo la stessa Nigella a smentire il Corriere della Sera attraverso un tweet.
Sulle origini del nome “puttanesca” per indicare la pasta condita con acciughe, olive e capperi, esistono molte versioni. Le due tesi più accreditate sono quelle di Arthur Schwartz, che nel suo libro “Naples at table” fa risalire l’invenzione della ricetta a Napoli, nei Quartieri Spagnoli, in una casa di piacere e quella che invece attribuisce la paternità della stessa a Sandro Petti, proprietario del locale Rangio Fellone ad Ischia che, negli anni ‘50, avrebbe coniato il nome quando alcuni avventori, desiderosi di mangiare ben oltre l’orario di chiusura della cucina, lo avevano pregato di preparare “una puttanata qualunque”.
Quale che sia la verità, la vicenda che ha coinvolto Nigella Lawson ha rivelato la tendenza dei media a mostrarsi decisamente frettolosi nel ricondurre episodi simili alla cosiddetta “cancel culture”. Con questo termine (o con quelli di “woke culture” e “call-out culture”), infatti, negli Stati Uniti si intende una mobilitazione popolare, soprattutto attraverso i social media, con la quale si chiede il boicottaggio di un personaggio pubblico o di una società. I media (non solo italiani), invece, spesso e volentieri raccolgono sotto questa etichetta tutte le notizie in cui ravvedono una sorta di conformismo rispetto al politicamente corretto. Così facendo, abbiamo sentito parlare di “cancel culture” a proposito della decisione della casa produttrice HBO di inserire un disclaimer all’inizio del film “Via col vento”(nel disclaimer si legge che il film “nega gli orrori dello schiavismo” e in un contributo extra, la studiosa e personaggio televisivo Jacqueline Stewart ha spiegato che “pur essendo uno dei film dalla popolarità più longeva di sempre, la sua diffusione è stata controversa sin dall’inizio tra i cittadini afro-americani. Il film infatti “rappresenta il Sud come un mondo di grazia e bellezza senza riconoscere le brutalità del sistema della tratta degli schiavi sul quale quel mondo era fondato”); della polemica che un giornale di San Francisco ha imbastito sul bacio del principe a Biancaneve in un’attrazione di un parco giochi della Disney in cui compare la celebre scena del bacio tra Biancaneve ed il Principe, un bacio che secondo due giornaliste californiane non va bene: “Le dà un bacio senza il suo consenso” scrivono “mentre lei dorme. Non può essere vero amore se soltanto uno dei due è consapevole di quello che sta accadendo”.
In questi casi (e in molti altri che non citiamo per brevità) non c’è stata nessuna sollevazione popolare, tantomeno attraverso i social media, e il richiamo alla “cancel culture” non trova solidi appigli. Si tratta, piuttosto, di strategie di marketing, decisioni singole e tentativi di stare al passo coi tempi e di non offendere la sensibilità di potenziali clienti (o lettori o spettatori).
Nel caso di Nigella Lawson, al di là degli articoli della stampa italiana, non solo non c’è stata nessuna mobilitazione, ma non c’era nemmeno una strategia dettata dal marketing, voleva semplicemente trovare un nome simpatico per la sua versione degli spaghetti alla puttanesca. A proposito, se leggendo l’articolo vi fosse venuta voglia di provarla, la trovate sul suo blog nigella.com.