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La pianificazione urbanistica tra presente e futuro – L’Intervista al Dott. Giovanni Sabbato

di Serafina Russo

Rivoluzione verde nel PNRR, Sabbato: “Necessario raggiungere un punto di equilibrio tra sviluppo economico e salvaguardia dell’ambiente”.

Dalla green economy alla rigenerazione urbana passando per la mobilità e la valorizzazione dei beni culturali, il governo del territorio è una materia complessa ma che ha delle ricadute concrete sui cittadini. Non si tratta soltanto di costruire fontane o coprire buche di strade dissestate, ma di consentire ai singoli individui di vivere in spazi condivisi e creare reti relazionali solide. Nella pianificazione urbanistica, infatti, convivono dialetticamente sia uno spazio di esperienza che un orizzonte di aspettativa che proietta la città o il paese – per molti, luogo del focolare – verso il futuro.

Il diritto circoscrive e bilancia, con ragionevolezza, il pulsare di interessi che le scelte di pianificazione urbanistica involgono trasversalmente. Secondo il Dott. Giovanni Sabbato, Consigliere di Stato ed esperto in materia di reati edilizi ed urbanistici, le misure messe in atto dalla Missione 2 del PNRR (“rivoluzione verde”) possono rappresentare una svolta epocale se si vuole raggiungere un punto di equilibrio tra sviluppo economico e salvaguardia dell’ambiente.

Dott. Sabbato, a suo avviso, il territorio campano può essere considerato ancora fruibile sul piano edilizio? A fronte di una crescente espansione dell’edificato – sprawl urbano – quale sarà il compito precipuo del legislatore regionale?

Purtroppo, i dati statistici pubblicati di recente ci confermano che il consumo di suolo in Campania raggiunge ancora livelli molto elevati nonostante da tempo si sia più avvertiti del rischio di compromissione dell’ambiente che può derivarne. Se è vero che è senz’altro auspicabile che si ponga un argine a tale fenomeno di progressiva cementificazione, è vero anche che è auspicabile ma illusorio pensare che esso si rallenti vistosamente in considerazione del fatto che l’ulteriore consumo di suolo appare inevitabile non solo per la naturale espansione dell’edificato ma anche per il compimento di quelle trasformazioni urbanistiche che sono conseguenti alla necessità, ad esempio, di implementare la rete infrastrutturale o le aree industriali. L’obiettivo che deve porsi, quindi, è quello di compensare l’inevitabile consumo di suolo quale volano di un’economia in espansione con la valorizzazione naturalistica delle parti del territorio ancora vergini ovvero il recupero di quelle degradate. È del resto in atto la progressiva riforestazione del territorio nazionale che ha consentito di conseguire un saldo attivo per quanto attiene alla presenza di essenze arboree sul territorio nazionale. In altre parole, non conta solo la quantità di suolo libero da costruzioni ma anche la qualità dello stesso e la sua idoneità a preservarne le qualità naturalistiche”.

Se l’urbanistica è governo del territorio e il piano regolatore rimane un “atto discrezionale”, è ruolo della politica e non dei tecnici assolvere alle scelte di pianificazione. Come valorizzare e responsabilizzare il ruolo della politica?

Nelle nostre sentenze siamo soliti affermare il principio secondo cui lo strumento pianificatorio costituisce espressione di ampia discrezionalità con la conseguente insondabilità delle scelte ad esso sottese non potendo certo il giudice amministrativo sostituirsi alle amministrazioni territoriali. Il ruolo della politica rimane quindi fondamentale perché si tratta di compiere sì un’attenta analisi delle esigenze di un territorio che non possono essere di certo perseguite tutte ed in un arco temporale ristretto. Di qui la necessità di effettuare delle scelte che sembrano premiare alcuni a discapito di altri ma che in realtà riflettono una precisa graduazione di interessi che solo chi è espressione della volontà popolare può effettuare con la giusta consapevolezza e con una visione complessiva. Anche in questo campo quindi è il caso di ribadire la necessità che la materia non sia affidata a rigidi e precostituiti schemi formali ispirati a competenze tecnico-specialistiche, in quanto non solo si impone il confronto tra valori la cui percezione non può che essere affidata a chi conosce il territorio in tutte le sue sfumature, anche socio-culturali, ma occorre anche che le scelte pianificatorie siano accolte dalla popolazione che vive il territorio ed inquadrate in un contesto razionalmente accettabile. È quindi ancor più auspicabile l’affermazione di quel principio di partecipazione popolare che negli anni il legislatore ha valorizzato proprio per consentire a tutti di interloquire con la classe politica per giungere a soluzioni non calate dall’alto ma il più possibile condivise e comunque partecipate”.

I modelli di pianificazione sovracomunali permettono il coinvolgimento di plurimi interessi: la valorizzazione delle aree monumentali, il recupero delle aree interne, la creazione di percorsi virtuosi per fruire del turismo. Il Comune è un ente definito nei suoi confini che tuttavia avverte sempre di più l’esigenza di interagire con gli enti di pari livello. Se è vero che in tale contesto di area vasta già opera la provincia è possibile ipotizzare un livello di pianificazione che abbracci più Comuni a prescindere dai confini provinciali? 

Il territorio della Campania è molto complesso tanto che presenta delle enclave storico-naturalistiche che involgono più Comuni e per i quali sarebbe auspicabile una pianificazione unitaria per obiettivi comuni o comunque convergenti. Il modello di pianificazione urbanistica su più livelli concepito dal legislatore, ciascuno di essi coincidente con gli ambiti di competenza degli enti territoriali (Regione, Provincia, comune) deve essere sottoposto a revisione critica proprio per la presenza di questi territori che hanno sì una dimensione sovracomunale ma che, per ragioni economiche ovvero orografiche, antropiche, storiche e culturali, dovrebbero essere valorizzati attraverso una pianificazione comune o concordata. Si tratta quindi di valorizzare gli strumenti negoziali già contemplati dall’ordinamento, ma l’auspicio è che il legislatore regionale voglia percepire l’esigenza di una pianificazione per accordi di area vasta infraprovinciale. Non si tratta di eliminare i Comuni polvere, che pur sono presenti in maniera significativa sul territorio regionale, quanto di favorire uno sviluppo armonico e bilanciato di questi territori, seppur non definiti sul piano amministrativo, in modo da elaborare un livello di pianificazione dai confini mobili e calibrati su esigenze concrete”.

L’ambiente è spesso considerato un bene suscettibile di autonoma valutazione economica. Come si è arrivati a questa evoluzione?

“La domanda induce subito a pensare alla Green economy di cui tanto si parla negli ultimi anni, ribattezzata come ‘rivoluzione verde’ dalla missione 2 del PNRR, per intendere soprattutto le occasioni di sviluppo economico che possono derivare dalla immissione sul mercato di prodotti dal minore impatto ambientale. Si tratta di una svolta per certi versi epocale se si vuole raggiungere un punto di equilibrio tra sviluppo economico e salvaguardia dell’ambiente, ma quest’ultimo deve rappresentare non solo un obiettivo di tutela delle sue qualità naturalistiche ma anche di miglioramento delle stesse. Ne consegue che il risanamento di aree abbandonate, il ripascimento delle coste, la riforestazione o l’incremento della fauna selvatica devono rappresentare gli obiettivi di una buona pianificazione. Tutto questo può servire allo stesso sviluppo economico del territorio perché, come insegna questa fase di allentamento delle misure anti-Covid, in una cornice ambientale sana e ospitale possono svilupparsi le attività turistiche e il loro indotto”.

L’urbanistica perequativa, metodo per distribuire equamente i vantaggi dell’edificabilità, non è prevista nella legge urbanistica fondamentale che risale ancora al 1942 eppure essa si è diffusa profondamente a livello locale moltiplicandosi le forme con le quali si arriva al riconoscimento dei diritti edificatori. Sono maturi i tempi per un complessivo intervento del legislatore nazionale in nome dei principi della legislazione ripartita o concorrente?

“Ritengo che l’intervento del legislatore nazionale sia oggi assolutamente necessario. Non è possibile che, nella logica di una materia affidata alla competenza ripartita e concorrente Stato-Regioni si abbia un cospicuo numero di leggi regionali urbanistiche articolate e innovative a fronte di una legge statale così lontana nel tempo. È vero che il 1942 è stato un anno fecondo sul piano dell’elaborazione normativa, basti pensare che ha dato i natali al codice civile, ma non può essere sottaciuta la peculiarità della materia del governo del territorio che deve sempre essere adeguata al sempre più rapido progresso economico. Questa irrazionale composizione del quadro normativo si avverte in particolar modo quando ci si sofferma sui diritti edificatori, introdotti dal legislatore soltanto con una norma laconica nonché afferente alla disciplina pubblicitaria della trascrizione. Negli ultimi tempi è stata la Corte di cassazione a sezioni unite investita del non agevole compito di coniugare tale fattispecie con i principi informatori dell’ordinamento, escludendo che si tratti di diritti reali, ma non può e non deve la giurisprudenza, per quanto nei suoi organi di vertice, colmare le lacune di un ordinamento ancora gravemente carente. È arrivato il momento di introdurre un regime giuridico autonomo e dettagliato di matrice statale per scolpire una fattispecie giuridica che sempre più si intende valorizzare in ambito regionale per agevolare, e in un certo senso, finanziare, la trasformazione urbanistica del territorio”.

Bonus 110 è stato uno strumento importante per dare impulso al mercato dell’edilizia e contenere il consumo energetico. Il legislatore quale posizione ha assunto nei riguardi degli illeciti edilizi, in particolare quando questi siano risalenti ad epoca antecedente al 1967?

“L’epoca attuale è caratterizzata da una vera e propria alluvione di bonus, dei quali alcuni di dubbia utilità, ma quelli che stimolano il recupero edilizio delle proprietà immobiliari vanno salutati con grande favore. La loro diffusione si è però scontrata non solo con la difficoltà di districarsi tra i numerosi incombenti formali, ma anche con il fatto che il patrimonio edilizio è spesso interessato da abusi assai risalenti nel tempo e che sfuggono alla stessa consapevolezza degli attuali proprietari. Di qui la necessità di rinvenire una soglia temporale a partire dalla quale riconoscere rilevanza, ai fini della concessione del bonus, alle opere non legittime che non poteva non rinvenirsi nella legge Ponte (n. 765) che, appunto risalente al 1967, ha introdotto su tutto il territorio nazionale l’obbligo di munirsi di un titolo abilitativo per l’esecuzione degli interventi edilizi. Le opere edilizie costruite prima del 2 settembre 1967 (e successive al 1942) non assistite da titolo abilitativo seppur insistenti in centri abitati o in aree interessate da disposizioni pianificatorie o regolamentari, purché contemplate dalla Cila e regolarmente accatastate, non possono quindi intendersi più abusive. Non va poi trascurato che la normativa in materia, di recente modificata per effetto della legge di conversione n. 108 del 2021, esclude la necessità di presentare l’attestazione dello stato legittimo dell’immobile ai fini della concessione del bonus, fermo restando che ove si accerti la presenza di opere abusive può residuare l’esercizio del potere repressivo/sanzionatorio di spettanza dell’ente comunale”.

 

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