di Francesco Miggiani
Secondo l’ultimo rapporto Istat BES[1], che quantifica i livelli di benessere nel nostro Paese, la qualità dei servizi offerti ai cittadini evidenzia particolari criticità e un netto trend verso il peggioramento. Il rapporto fa riferimento a servizi per l’infanzia, attività pre-post scuola, quelle sportive, l’assistenza agli anziani, il supporto alle fragilità sociali ma anche al trasporto pubblico locale e in generale alla mobilità urbana; questi sono solo alcuni esempi: purtroppo analoghe considerazioni possono essere estese anche alle infrastrutture materiali, la cui obsolescenza ha oramai raggiunto nel nostro Paese livelli preoccupanti.
Il combinato disposto delle spending review iniziate nello scorso decennio (che hanno fortemente limitato la capacità delle amministrazioni di evolvere e, di conseguenza, far evolvere i servizi destinati ai cittadini), unitamente alla cultura burocratico-amministrativa diffusa in parte della Pubblica amministrazione italiana, sono tra le cause principali della desolante situazione registrata nel Rapporto.
È fuori discussione che il potenziamento dell’offerta di servizi rivolti ai cittadini (persone singole o famiglie) e il profondo rinnovamento del patrimonio infrastrutturale, tenendo anche conto della transizione ambientale, rappresentino priorità non più eludibili. Next Generation EU e la nuova politica di coesione 2021-2027 dell’Unione Europea, che congiuntamente destineranno oltre 300 mld di euro all’Italia, rappresentano certamente un’opportunità per colmare il gap attuale, ma contengono un rischio implicito: i tempi ristretti entro i quali dovranno essere spese le risorse disponibili potrebbero dare adito al rafforzamento di logiche tradizionali in cui si privilegia la componente “materiale” degli investimenti, con un approccio top-down e senza mettere veramente al centro cittadini e creazione di valore pubblico. Prendiamo il caso del sistema educativo: non è sufficiente solo di rinnovare i plessi scolastici con una “spolveratura” green e digital, ma è necessario anche riprogettarne le funzioni, rendendole funzionali all’erogazione di un servizio scolastico che deve rispondere ai fabbisogni in evoluzione di una popolazione sempre più differenziata e composita, alle nuove modalità didattiche, ai fabbisogni educativi derivanti dall’evoluzione del mercato del lavoro.
Coerentemente con le logiche del PNRR, questo cambiamento di prospettiva dovrebbe costituire un’opportunità per stimolare un salto di qualità nelle forme di collaborazione pubblico-privato; non ci si può limitare a fare leva sui capitali pubblici per mobilizzare e moltiplicare quelli privati, ma si deve utilizzare la collaborazione con i privati per promuovere innovazione e discontinuità e “co-creare” soluzioni più funzionali ai bisogni, coinvolgendo quanto più possibile i cittadini (i quali quindi saranno maggiormente disposti a riconoscerne il valore, anche in termini economici).
L’impact investing può rappresentare una soluzione di riferimento per rispondere a queste esigenze, e in particolare per attirare capitali e competenze private che consentano di rispondere meglio ai bisogni della collettività. Divenuto un termine ricorrente nel dibattito pubblico e privato, l’impact investing può essere considerato un’evoluzione della logica della partnership pubblico privata, in cui però la Pubblica amministrazione non commissiona e paga solamente per la disponibilità di un’infrastruttura o di un servizio, ma per il raggiungimento di determinati risultati (outcome) a impatto sociale; l’enfasi è quindi posta sul valore pubblico dei risultati conseguiti, con l’obiettivo di ottimizzare il ritorno sociale per l’amministrazione pubblica e la remunerazione del rischio finanziario e operativo del soggetto privato. Il modello impact investing (detto anche “outcome-based”), secondo le indicazioni della Commissione Europea che lo promuove insieme alla Banca Europea per gli Investimenti, ha un campo di applicazione molto ampio che va dalle forme più tradizionali di spesa per comprendere anche i servizi pubblici a tariffazione sull’utenza. Da un punto di vista contrattuale gli outcome-based contract possono essere strutturati nella forma della concessione; per incentivare l’operatore economico a conseguire i risultati attesi possono essere utilizzati meccanismi di premialità in caso di successo o, viceversa, di penali e decurtazioni in caso di insuccesso.
Al di là degli aspetti economici e finanziari di breve periodo, l’Impact Investing si caratterizza anche per “risultati controintuitivi”: proseguendo nell’esempio della scuola, un progetto di riduzione della dispersione scolastica può portare inizialmente a un risparmio diretto sui costi legati alla ripetizione degli anni di scuola; ma soprattutto, nel medio-lungo periodo, a vantaggi più significativi per la collettività (dal momento che alla dispersione scolastica è associata, in età adulta, una maggiore probabilità di disoccupazione, un minor livello di salute fisica e mentale, abuso di droghe e criminalità, a cui conseguono maggiori costi pubblici e privati).
Un’indagine, pubblicata recentemente dalla Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore[2], braccio strategico e operativo di Fondazione Cariplo, ha evidenziato nel nostro Paese un incremento del 60% del capitale disponibile per gli investimenti a impatto sociale e ambientale in Italia. Dal 2017 al 2020 il numero di investimenti annui è passato da 9 a 39 all’anno, mentre l’ammontare investito annualmente ha raggiunto i 13 milioni nel 2020 rispetto a 6.5 milioni nel 2017; cumulativamente negli anni sono stati investiti 41.5 milioni. Anche se questi non sono i grandi numeri cui il mondo della finanza ci ha abituato, conta la direzione e il ritmo della crescita, che fanno ben sperare per il futuro soprattutto se si farà tesoro dell’esperienza del passato (in passato, iniziative di questo tipo, quali i fondi Jessica o Jeremie, non hanno funzionato anche perché non sono state create le condizioni di contesto; in particolare gli enti locali non avevano le capacità di attuazione: dovranno essere pertanto previste iniziative di capacity building e di assistenza tecnica, anch’esse finanziate dalle politiche di coesione).
Un altro segnale significativo è rappresentato dal fatto che il Dipartimento della Funzione Pubblica, per sostenere la fase di avvio di questi strumenti, ha avviato nel 2019 la sperimentazione delle attività riferite al Fondo per l’innovazione sociale, disciplinato dal DPCM 21 dicembre 2018, per la promozione di modelli innovativi che mirino alla soddisfazione di bisogni sociali emergenti, con il coinvolgimento di attori e finanziamenti anche del settore privato, secondo lo schema della finanza di impatto. La sperimentazione si articola in un Programma triennale che, nell’ambito delle risorse stanziate dal Fondo, finanzia progetti di innovazione sociale di amministrazioni locali (comuni capoluogo e città metropolitane) nei settori dell’inclusione sociale, dell’animazione culturale e della lotta alla dispersione scolastica.
[1] Fonte: Istat, (2019). BES – Benessere equo e sostenibile in Italia. Qualità dei servizi https://www.istat.it/it/files/2019/12/Bes_2019.pdf
[2] FSVGDA_Impact-Investing-Report-2020-4