di Eliana De Leo
“Le Città sono la soluzione”: luoghi di contaminazione di idee, saperi e visioni diverse, protagoniste delle reti di partenariato e dei progetti portati avanti grazie a URBACT E UIA, raccontate nel libro di d’Antonio e Testa
Viaggio nell’Italia delle grandi, medie e piccole città che, attraverso interventi capaci di migliorare la qualità della vita degli abitanti, hanno scelto di confrontarsi con altre realtà urbane europee. Un diario di bordo del percorso compiuto da amministrazioni e comunità che si sono messe in gioco, per affrontare i temi di maggiore impatto dell’agenda politica europea. Luoghi in cui avvengono le sfide principali del nostro tempo, in cui emergono le soluzioni più interessanti, sviluppate in molti casi attraverso la collaborazione tra pubbliche amministrazioni e comunità locali. Supportate da politiche mirate dell’Unione Europea le Città sono laboratorio politico e sociale e, almeno secondo D’Antonio e Testa, sono la soluzione.
In un momento storico in cui sembra che ci sia un ritorno alle origini, le persone riscoprono la ruralità ed i tempi lenti tu e Paolo Testa, dopo un’esperienza che vi ha portati in giro per l’Europa per diversi anni con URBACT e UIA rilanciate su un tema che vi è particolarmente caro, con “Le città sono la soluzione”. Perché? Cosa vi ha spinto a scrivere questo libro?
«Il libro è nato durante i mesi della pandemia con l’obiettivo di rielaborare storie e saperi che abbiamo incrociato negli ultimi anni, incontrando funzionari e amministratori che hanno realizzato interventi innovativi e processi di partecipazione e ingaggio civico nell’ambito dei programmi URBACT, Urban Innovative Actions e Agenda Urbana per l’UE. Nei mesi della pandemia si è parlato tanto di fine della città e ritorno verso i piccoli centri, ma il libro va contro questa narrazione semplicistica, dimostrando che nei centri urbani di piccole, medie e grandi dimensioni ci sono le energie e le risposte per affrontare i principali nodi emersi proprio durante l’emergenza pandemica. Inoltre, proprio da una relazione virtuosa tra piccoli e grandi centri che è possibile ripartire per una visione olistica di sviluppo sostenibile».
Come si pongono, alla luce di queste esperienze, le città italiane verso il Green Deal? Sono pronte? Come rispondono, mediamente, le amministrazioni?
«Le città italiane hanno messo in pratica tanti dei temi contenuti nel Green Deal nell’ambito di tutta una serie di progetti che hanno coinvolto le comunità locali e gli attori dinamici del territorio. Penso all’impegno di Prato per l’economia circolare e la creazione di “giungle urbane” per la rigenerazione degli edifici di housing social, oppure alle tante città come Bergamo e Cesena che stanno riutilizzando oasi verdi per creare spazi per l’apicoltura urbana. Ciò che è importante è rendere queste azioni parte di politiche nazionali che reinterpretano le transizioni ambientali ed energetiche come fattori di sviluppo sostenibile anche economico e sociale per le comunità locali».
Nel corso di questi anni avete trovato anche delle resistenze? Reticenze? “Incapacità” da parte di amministratori?
«Devo ammettere che la comunità delle città italiane partecipanti ai programmi URBACT e UIA ha dimostrato un livello di entusiasmo alto, e in alcuni casi inaspettato. Abbiamo incontrato un’Italia che dal basso si impegna per disegnare con i cittadini una visione ambiziosa di medio e lungo periodo, sperimentando azioni e interventi che guardano ad alcune delle esperienze europee più interessanti. Ciò che manca ancora forse è la capacità di abbattere i silos tematici all’interno delle pubbliche amministrazioni e rendere davvero integrati questi progetti e trasversali le metodologie partecipative testate a livello europeo».
Quale delle reti che hai visto nascere e dei progetti portati avanti ti ha colpito maggiormente e perché.
«Mi ha colpito molto il lavoro che Genova e Venezia hanno portato avanti negli ultimi anni sul tema dell’impatto sostenibile del turismo con la rete Tourism-Friendly Cities, che è passata negli anni della pandemia dal guidare le città a contenere i flussi turistici a rilanciarli cercando di evitare gli errori che hanno condotto all’overtourism nel passato. Grazie a questo progetto abbiamo visto crescere nelle città italiane ed europee coinvolte nel progetto l’attenzione verso l’uso degli spazi pubblici e verso la creazione di nuovi percorsi turistici, ma anche la sperimentazione di azioni-pilota che conducono ad una maggiore sensibilità dei visitatori verso i luoghi che li ospitano come veri e propri residenti temporanei. Una serie di lezioni utili anche per una regione come la Campania che può rilanciarsi proprio a partire da una gestione più sostenibile dell’impatto del turismo sull’housing e più in generale sugli spazi pubblici e privati delle città».
Come se la sono cavata le città campane? Nel libro c’è il racconto di Napoli e Casoria ma URBACT ne ha coinvolte anche altre, vero?
«Certo, in Campania sono molto interessanti anche le esperienze che stanno portando avanti Salerno e Avellino. La prima ha replicato il modello di Pireo, coinvolgendo gli innovatori del territorio in competizioni per la creazione di startup sui temi dell’economia del mare, Avellino invece sta replicando il modello di Manchester di coinvolgimento degli attori del mondo dell’arte e della cultura per favorire una maggiore sensibilizzazione sul contrasto al cambiamento climatico. Sono temi ed approcci di valore europeo, che stanno favorendo lo scambio con altre realtà virtuose italiane ed europee, migliorando così anche le modalità di utilizzo dei fondi europei per l’attuazione di interventi concreti sui territori. Senza dubbio, assieme alle esperienze di Napoli e Casoria, sono tra quelle più interessanti finanziate da URBACT in Italia e segnalano quanto tali meccanismi partecipativi e di progettazione integrata possano attecchire favorevolmente anche in Campania se guidati e facilitati efficacemente. Inoltre, due città campane ovvero Portici e Pozzuoli stanno portando avanti interventi innovativi sul miglioramento della qualità dell’aria e sull’agricoltura urbana grazie a progetti finanziati dal programma Urban Innovative Actions: in totale soltanto 12 città italiane hanno avuto la possibilità nell’ultimo settennato di partecipare a questo programma, quindi ciò segnala che in Campania c’è anche una forte capacità di fare rete con università, centri di ricerca e attori dinamici del territorio per realizzare progettazioni complesse e disruptive».
Le città sono la soluzione ma la percezione che i cittadini hanno sul binomio città-politiche europee è sempre quella legata alla scarsa capacità di rendicontazione, alla perdita di fondi disponibili oppure, il contraltare è quello dell’Europa matrigna, il reef di qualche anno fa “ce lo chiede l’Europa” ancora risuona nelle orecchie di qualcuno. Qual è la risposta a tutto questo? Siete riusciti in questi anni di esperienza a darvene una?
«La risposta sta proprio nella partecipazione massiccia a programmi come URBACT e UIA che hanno insegnato negli anni a fare buona progettazione e a coinvolgere tutti quegli attori dinamici, anche i più insoliti, presenti su un territorio in un’ottica di intelligenza collettiva. Nelle città risiedono le risposte a tutte le sfide del nostro tempo, e i progetti finanziati dall’UE possono essere sicuramente un buon campo di sperimentazione di percorsi e azioni innovativi, che hanno un reale valore non solo se si spende tutto per tempo ma se quella spesa diventa reale moltiplicatore di innovazione, ovvero se riesce ad attirare ulteriori fondi e investimenti e più in generale a creare valore aggiunto nelle amministrazioni e nelle comunità che partecipano a tali progetti».
In definitiva, le Città sono la soluzione a cosa?
«Le città sono la soluzione alle sfide più urgenti che abbiamo di fronte, dalle transizioni giuste alla riduzione delle diseguaglianze. Sono luoghi di elaborazione di visione e di pensiero ma anche spazi per mettere in pratica soluzioni ad ogni livello, dall’urbanistica tattica fino ai grandi interventi di rigenerazione urbana e sviluppo integrato. Le città sono luoghi di collaborazione necessaria, di contaminazione di idee, saperi e visioni diverse, luoghi dinamici di attrazione da cui è impossibile prescindere in uno scenario globale che vede competere tra di loro non solo gli Stati ma soprattutto medi e grandi contesti urbani. Non si tratta solo di attrattività e branding, ma soprattutto di progetti e azioni concrete per la qualità della vita e dell’abitare, per attirare grandi player e investimenti: è importante nelle città affrontare in maniera olistica tutti questi aspetti, rendendole così il vero motore del rilancio ambientale, economico e sociale che ci aspettiamo negli anni del post-pandemia».