EditorialeIeri, oggi e domani

Ieri, oggi e domani

Quando potremo chiamare “domani” la giornata di oggi, se fra tre giorni è il giorno prima di domenica? O, anche: quando potremo chiamare “l’altro ieri” la giornata di domani, se ieri era l’indomani di sabato?

Alzi la mano chi non si è mai posto domande come queste! Dubbi esistenziali che finalmente potrete risolvere, velocemente, recandovi in uno sportello di un ufficio pubblico o, magari più comodamente, formulando il quesito e inviandolo, a mezzo posta elettronica, ad un ente pubblico. A rispondere troverete gente selezionata in grado di rispondere rapidamente, in un minuto, a quesiti di tale natura. Statene certi perché prima di assumere nuovi dipendenti la Pubblica Amministrazione, li sottopone ad un serrato fuoco di fila di domande del genere. 60 quesiti in 60 minuti: tra domande su articoli e commi di questa o quella legge, non si può mancare di scandagliare le attitudini, le capacità, ma anche la personalità, dei candidati ad un posto pubblico. Si chiamano test psico-attitudinali. Sono strumenti con cui si indagano le abilità tecniche, logiche e matematiche del lavoratore.

Non vanno sottovalutati gli effetti di questi quiz: si tratta di potenti batterie di fuoco in grado di falcidiare la massa di pretendenti che si propone per lavorare in una pubblica amministrazione. Basti dare uno sguardo ai numeri di uno dei tanti concorsi di quest’anno in Italia. Mediamente si presenta alla selezione la metà degli iscritti. I quiz fanno il resto, restituendo in qualche caso addirittura un numero di idonei inferiore ai posti messi a concorso.

Ma se si vuole entrare non c’è che una strada. Lo stabilisce la Costituzione più bella del mondo “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. Nel corso della storia repubblicana di “casi stabiliti dalla legge” ce ne sono stati. Ma queste sono altre vicende. Da quando mondo è mondo, si direbbe, l’unica è il concorso. Ieri, come oggi, come domani.

Il problema è che c’è uno “ieri” in cui il posto pubblico – stabile e sicuro, magari pagato meno di un lavoro nel privato, ma a tempo indeterminato – era un’aspirazione per tanti. Era la sistemazione. Il primo necessario passo per entrare, e non uscire più, dal mercato del lavoro. C’è uno “ieri” in cui la Pubblica Amministrazione, dopo anni di tagli sulla spesa pubblica, ha visto via via ridursi i propri organici, senza la possibilità di poter sostituire il personale che andava in pensione, con effetti devastanti sull’organizzazione della macchina pubblica sottoposta a cure dimagranti draconiane: parliamo di 350mla dipendenti in meno negli ultimi 20 anni. Le politiche di rientro di bilancio, per anni, sostiene la SVIMEZ “si sono abbattute con violenza sulle dinamiche di ricambio di personale all’interno della PA, impoverendola e privandola delle necessarie competenze”.

C’è, però, poi un “oggi”. Un presente in cui i giovani che si affacciano sul mercato del lavoro non hanno più il mito del posto pubblico, stabile e sicuro, magari perché gli stessi loro genitori hanno vissuto la loro vita lavorativa senza questa opportunità. Giovani per cui, magari, il posto pubblico a tempo indeterminato è solo il racconto di un nonno.

C’è, ancora, un “oggi” in cui la pubblica amministrazione è arrivata al punto limite delle riduzioni di organico e si rigetta sul mercato del lavoro alla ricerca, si potrebbe dire disperata, di lavoratori che possano garantire, prima ancora che la qualità dei servizi pubblici, almeno la quantità degli stessi. Ci arriva, però, in modo scomposto. Con lo stesso armamentario di 40 anni fa. Un coacervo di norme e regolamenti, sedimentati in decenni di storia dell’amministrazione, che regolano puntualmente titoli di accesso, punti e punteggi da attribuire, riserve e titoli preferenziali, qualifiche e mansioni, declaratorie, categorie di inquadramento, contenuti specifici del profilo professionale, ecc. Con l’unica modernizzazione rappresentata dall’utilizzo di un tablet o di un computer attraverso cui sottoporre i quiz al candidato, magari sul comma x dell’articolo y, che nel frattempo verrà modificato da un prossimo decreto che, statene certi, è già allo studio. Ci si arriva con un armamentario contrattuale fatto di lente progressioni verticali, di incentivi uguali per tutti e di stipendi che, specie in settori come quelli tecnici ed informatici, sono oggettivamente fuori mercato.

Ed allora si assiste a fenomeni che andrebbero analizzati, su cui qualche ragionamento in più andrebbe speso. Il primo, quello più evidente, è la sproporzione tra il numero di candidature che i concorsi registrano e il numero di coloro che si sottopongono alle batterie dei quiz. Il secondo è quello degli abbandoni. Sì, perché, anche se non esistano ancora statistiche ufficiali, ci sono coloro che, e non sembra siano proprio pochi, una volta vinto un concorso e firmato il famigerato contratto a tempo indeterminato, decidono di andar via, di dimettersi.

C’è un “oggi”, infine, dove poco le problematiche connesse all’ingresso di nuovi lavoratori nella pubblica amministrazione vanno valutate con maggiore attenzione. Come hanno scritto gli esperti della SVIMEZ: “L’ingresso di nuovo personale richiede un ‘fine tuning’ affinché le competenze nuove si aggiungano alla esperienza e alla conoscenza delle procedure complesse, per le quali la semplice competenza derivante da un titolo di studio non è sufficiente”.

Ci sarà, poi, un “domani” nel quale per superare il deficit di competenze interne negli uffici pubblici non sarà sufficiente superare le enormi difficoltà di immissione a ruolo di nuova forza lavoro, ma sarà necessario individuare azioni concrete per assicurare alla PA la capacità di aggiornare e formare i propri dipendenti.

M.A.

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