di Salvatore Parente
Secondo il report dell’OCSE Education at a Glance: in Italia un giovane su tre (il 34,6%) non lavora e non segue un percorso di formazione, esistono ancora disparità nell’offerta formativa sul territorio nazionale, si investe poco nell’istruzione terziaria e la laurea magistrale e i nostri docenti restano fra i più sottopagati d’Europa
L’Education at a Glance, ovvero la principale fonte internazionale che ogni anno fornisce una comparazione delle statistiche nazionali (nella nuova edizione in buona parte relative al 2021), grazie alle quali misurare lo stato dell’istruzione nel mondo, è abbastanza impietoso con l’Italia: poche luci, moltissime ombre. Il rapporto, che analizza i sistemi educativi dei 38 paesi membri dell’OCSE, più Argentina, Brasile, Cina, India, Indonesia, Arabia Saudita e Sud Africa, condanna il Bel Paese. E lo fa abbastanza pesantemente quando si legge, fra i diversi punti salienti, negativi, che un giovane su tre, in Italia, non lavora e non studia. Mentre in altri Paesi, magari quelli a cui noi guardiamo con l’illusoria speranza di raggiungerli, queste vette non si immaginano nemmeno. In Germania e nei Paesi Bassi, infatti, i ragazzi comunemente noti col termine NEET (not in education, employment or training) sono rispettivamente: appena il 10 e il 7% del totale. Un abisso di distanza, un gap grosso quanto un canyon.
Ma il quadro si aggrava quando ci si imbatte nei precisi numeri di questo buco nero. Dopo essere aumentata fino al 31,7% durante la pandemia da Covid-19 nel 2020, la quota di NEET di età compresa tra 25 e 29 anni in Italia ha continuato ad aumentare fino al 34,6% nel 2021. Tale quota è sì diminuita tra il 2019 e il 2020 dal 28,5% al 27,4%, ma è inesorabilmente aumentata fino al 30,1% nel 2021 per i giovani di età compresa tra 20 e 24 anni. Numeri che fanno tremare i polsi e che preannunciano futuri disastri e gap salariali e di competenze. Non a caso, i giovani adulti che non hanno un lavoro, né seguono un percorso scolastico o formativo per periodi troppo prolungati, rischiano di avere risultati economici e sociali negativi sia a breve che a lungo termine. Un circolo vizioso che, dalla povertà economica conduce (irrimediabilmente?) a quella educativa, civica e sociale (e viceversa).
Non è un Paese per…laureati. Un rischio, un significativo pericolo sociale. In estrema sintesi: povertà economica e bassa remunerazione. Un link facile da trovare già oggi nel nostro Paese, nel quale, malgrado una istruzione terziaria, non è detto si viva di gran lunga meglio di chi, invece, non ha avuto: o le stesse opportunità o raggiunto simili traguardi. Sempre nel report, difatti, si legge che il livello di istruzione conseguito influisce sui livelli salariali, ma il divario degli stipendi è inferiore in Italia rispetto alla media dei Paesi dell’OCSE. Mediamente in tutta l’area dell’OCSE, i lavoratori di età compresa tra i 25 e i 64 anni in possesso di un titolo di studio terziario guadagnano circa il doppio rispetto a coloro che non hanno un’istruzione secondaria superiore. Da noi, invece, nel 2018, i lavoratori in possesso di un titolo di studi universitario guadagnavano appena il 76% in più rispetto a quelli con un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore. In soldoni, un laureato guadagna appena il 76% in più di un lavoratore con licenza media.
Istruzione terziaria? Ancora per pochi. Un’importante differenza fra l’Italia e gli altri paesi OCSE si rintraccia anche nella distribuzione dei titoli di studio terziari. Mentre nel nostro Paese fra la popolazione fra i 25-64 anni solo il 14% ha una laurea magistrale e il 5% una laurea triennale, la media OCSE vede una situazione opposta, con il 19% di lauree triennali e il 14% magistrali. Il conseguimento di un titolo di studio universitario facilita l’ingresso nel mercato del lavoro, ma con forti ed evidenti differenze tra tipi di lauree. Nel 2021 il tasso di occupazione dei laureati in medicina e nelle professioni sanitarie o nei servizi sociali era pari all’89%, ma solo del 69% tra i laureati nelle discipline umanistiche. Inoltre, gli studenti della “triennale” che si laureano entro tre anni dalla fine della durata teorica del corso di studio in Italia sono solo il 53% contro una media OCSE del 68%.
Spesa pubblica per la scuola. E ancora, nel ricchissimo giacimento di informazioni del dossier, l’Italia consegue ancora qualche sostanziale handicap che va comunque sottolineato. Mentre per la scuola dell’obbligo i nostri governi hanno, specie nel 2021, finanziato in media di più rispetto ai Paesi dell’OCSE con una spesa, per un alunno o una alunna fra i 6 e i 15 anni, di 105.750 dollari (calcolati a PPA, parità di potere d’acquisto, per tenere conto delle differenze del costo della vita fra i diversi paesi). Va tenuto conto che questo non si traduce in una equa distribuzione su tutto il territorio nazionale dell’offerta di servizi e spazi scolastici. Ad oggi, difatti, esistono ancora ampi divari, nell’offerta di tempo pieno, nella disponibilità di mense scolastiche o di palestre nella scuola primaria e secondaria di I grado con uno Stivale spaccato a metà e con il Mezzogiorno d’Italia ancora attardato rispetto al resto della nazione. Per quanto concerne il finanziamento dell’istruzione terziaria, per la spesa per studente universitario, l’Italia è decisamente agli ultimi posti della specifica graduatoria: 12mila dollari all’anno contro una media OCSE di oltre 17.500.
Docenti poco remunerati, i nostri Prof. fra i più bistrattati. A complicare un già compromesso quadro generale si passa poi ad esaminare quelle che sono le retribuzioni degli insegnanti italiani. Il Report conferma il dato che le retribuzioni dei nostri docenti sono molto basse, poco dinamiche e poco attraenti. Nel dettaglio, si evidenzia come le retribuzioni nei paesi OCSE vanno in media dai 42mila dollari del livello pre-primario a più di 53.500 della secondaria di II grado, mentre in Italia si collocano a livelli nettamente inferiori: rispettivamente a 40mila e 46mila dollari. Anche l’analisi diacronica non ci premia: dal 2015 al 2021 la retribuzione media OCSE di un insegnante di scuola secondaria di I grado è aumentata del 6%, mentre in Italia l’incremento è stato inferiore, limitata dell’1%. Infine, stuzzica un’amara riflessione il confronto nei diversi paesi fra la retribuzione degli insegnanti e quella degli altri laureati. Ebbene, nel 2021 in Italia, un docente di secondaria di I grado ha guadagnato il 27% in meno di un lavoratore full-time laureato (media UE, -11%). Infine, si segnala che, i livelli di istruzione in Italia, fra il 2000 e il 2021, sono cresciuti più lentamente della media dei paesi OCSE. La quota di giovani fra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione universitaria è cresciuta infatti solo di 18 punti percentuali (dal 10% nel 2000 al 28% nel 2021) rispetto a una crescita in media di 21 punti percentuali. L’Italia, perciò, resta uno dei 12 paesi OCSE in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso in questa fascia di età.