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Dalla privacy al digital divide, dai virus e hacking fino alla propaganda. Quali sono i limiti dell’etica dell’Intelligenza artificiale?

di Roberta Mazzeo

Sebastiano Maffettone, filosofo, da oltre 40 anni lavora sui fondamenti filosofici dell’etica pubblica e sulle loro applicazioni e nel 2019 ha fondato il Centro di Ricerca Ethos alla Luiss Business School. Centro impegnato attivamente nel settore dell’etica pubblica e digitale e del rapporto tra business e sostenibilità.

«Ai valori etico-politici è legata la questione del pluralismo. Perché, come sappiamo bene, trovare unanimità su valori etico-politici è quantomai difficile – spiega Maffettone – Si apre il campo ad un altro e più complicato problema, quello della necessità di un’etica pubblica universale. Mai come oggi, in tempi di pandemia, tale necessità, che riguarda tutte le grandi questioni contemporanee, dalla salute pubblica alla finanza, dall’ambiente alle migrazioni fino alla guerra, è all’ordine del giorno. I campi di applicazione dell’etica pubblica concernono le decisioni collettive rilevanti, in settori come ad esempio business ethics, Intelligenza artificiale, bioetica, sostenibilità o questioni di genere».

Cosa intendiamo per etica e quale è l’impatto sociale, politico e morale delle innovazioni tecnologiche e digitali?

«Da quando si è iniziato a parlarne i computer hanno generato curiosità e preoccupazioni di natura etica e sociale. Questo tipo di preoccupazioni è evidente nella letteratura a cominciare da quella di fantascienza, nel cinema o nel diritto. Sempre più con il passare degli anni e il progresso delle tecnologie informatiche sono stati invasi dal modo digitale aspetti rilevanti delle nostre vite, a cominciare naturalmente dal lavoro e della produzione, per andare poi dalla salute ai rapporti personali e sociali, includendo i sentimenti, l’istruzione e la sfera del tempo libero. Proprio per questo, non può sorprendere il fatto che la diffusione sistematica delle ICT, Information and Communication Technologies, abbia rilievo etico e sia anzi la ragione del nascere di un nuovo campo della discussione etica quello dell’etica del digitale».

Lei ha studiato a lungo il rapporto tra etica ed intelligenza artificiale. Crede si arriverà ad indurre cambiamenti di opinione o manipolare preferenze al posto della persona umana?

«Prendiamo una lista ricavata spulciando un paio di manuali americani per esemplificare il tipo di problemi che abbiamo di fronte: si va dalla privacy, alla intellectual property and access, alla accessibility and accuracy of information, al digital divide, ai virus e hacking fino alla propaganda, roboethics e cyber crimes. Di fronte a questa lista, dal punto di vista etico, non esiste uniformità di valori su cui basare un’argomentazione critica universalmente accettabile. Inoltre, non è del tutto chiaro quali siano i limiti o le frontiere che delimitano il campo di azione dell’etica dell’Intelligenza artificiale. Dietro un insieme di problemi etici spesso si celano emozioni profonde come il timore che macchine pensanti possano eguagliare e superare l’intelligenza umana. Non c’è dubbio che i sistemi di intelligenza artificiale siano capaci di adattarsi e adeguarsi alle mutevoli condizioni in cui operano, simulando ciò che farebbe una persona. In altri termini, oggi la macchina può spesso surrogare l’uomo nel prendere decisioni e nel compiere delle scelte. Oggi algoritmi di machine learning riescono a fare diagnosi mediche con una percentuale di esattezza che in alcuni casi supera quella di un medico medio e acquisiscono sempre più capacità predittiva. Tuttavia, di fronte a tali accuratezze, non godono di altrettanta capacità esplicativa. Nel momento in cui la macchina surroga l’uomo nel prendere decisioni, che tipo di certezze dovremmo avere per lasciare che sia la macchina a scegliere chi deve essere curato e come? In una stagione in cui l’automatizzazione e la decisione algoritmica rischia di rimpiazzare l’umano e le strutture valoriali della nostra convivenza sociale è urgente riportare al centro dei processi di decision making non solo delle tecniche ma anche tutta una serie di dimensioni antropologiche ed etiche».

L’innovazione tecnologica e le sue applicazioni sociali hanno grossi impatti a cominciare da quello sul mondo del lavoro, la sfida oggi è su una duplice rivoluzione: digitalizzazione e sostenibilità. Lei ha elaborato diversi codici etici sia per le imprese che codici etici di comportamento per la pubblica amministrazione. Con la crisi in atto, la guerra e l’aumento dei costi, il rischio di effetti negativi è proprio sul capitale umano. Occorre dunque aggiornare i codici etici e quanto è fondamentale creare competenze sui temi dell’etica pubblica?

«Oggi le aziende devono confrontarsi con temi sociali vasti e complessi, come quelli posti dall’ecologia e dalla giustizia globale e devono farlo in un mondo altamente interconnesso, istantaneamente informato e socialmente sensibilizzato. Il ruolo del business nella società contemporanea è quanto mai importante e senz’altro insostituibile ma deve comunque rinnovarsi continuamente, se vuole essere sostenibile in un contesto caratterizzato da nuovi mercati e competenze ma anche da pervasiva incertezza, squilibri e ineguaglianze, competizione allargata, scarsa regolamentazione globale e una crisi ecologica rampante. Negli ultimi anni ha assunto importanza il Social Impact Investing una forma di investimento che ha come funzione quello di raggiungere assieme obiettivi sociali e finanziari. Centrale al suo interno appare il concetto di “inclusive business”, visto come coinvolgimento del settore privato dell’economia nella creazione di servizi a supporto di parti svantaggiate della popolazione. Non si tratta di filantropia aziendale, ma piuttosto di modelli privati di impresa ispirati alla sostenibilità sistemica e tesi a decentrare il sistema nazionale di welfare. Col passare del tempo la missione sociale dovrebbe diventare parte qualificante del business».

Per raggiungere gli obiettivi del PNRR sono decisivi progetti e risorse dedicate dal Governo a supporto degli enti sul territorio nel percorso di trasformazione digitale. Nel mettere in campo strumenti e politiche future quali modelli di governance territoriale adottare indirizzati al bene comune?

«È necessaria una riflessione su problemi di etica ed economia arricchiti da una maggiore esperienza che ci viene dalla storia degli ultimi decenni ed alla luce del paradigma della sostenibilità globale. E più in genere con l’idea sostanzialmente socialdemocratica e liberal di riconciliare efficienza economica e giustizia sociale in un’ottica di etica pubblica ispirata al pluralismo. Dal punto di vista della governance, la sostenibilità globale comprende un nuovo modo di regime economico-politico anche a livello locale, affidabilmente dedito al perseguimento del benessere sociale e alla giustizia. Il punto essenziale è probabilmente costituito dal parziale passaggio di consegne da istituzioni pubbliche a società civile. Le ragioni per questo cambiamento consistono comunemente nei limiti del bilancio pubblico e dal deficit di competenza tecnica dell’apparato statale rispetto agli operatori di settore che è tipico di una società complessa e tecnologica. Tutto ciò rende la società civile protagonista e destinata a realizzare con strumenti “privati” quelli che sono tipicamente compiti “pubblici” dal punto di vista delle finalità che si perseguono. Considerando anche le possibilità aperte dalla digitalizzazione, si aprono scenari di conoscenza diffusa, cooperazione innovativa, problem-solving creativo. La società civile si rende nuovamente protagonista di “esperimenti di vita”, a fronte di mutevoli condizioni sociali, economiche, politiche e ambientali. Dal punto di vista del contenuto, invece, la sostenibilità globale, comprende diversi aspetti della vita associata che presuppongono una peculiare attenzione al ruolo di cittadini nell’ottica della welfare society. Una economia dove egoismo e profitto sono gradualmente sostituiti dalla solidarietà, rispetto per l’ambiente e dalla rilevanza delle relazioni sociali».

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