di Salvatore Parente
Il Rapporto, mediante un apposito indice costruito sulle statistiche del personale a disposizione dei comuni italiani al 2019, spiega le complessità che gli enti territoriali potrebbero incontrare nella gestione delle risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Ventuno dei 26 comuni più in difficoltà si trovano nel Sud e nelle Isole. Dove la dotazione di personale s’è ridotta, in 13 anni, del 32%.
Il PNRR, ormai leggendario acronimo che, declinato, sta ad indicare (come tutti ormai sanno) il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sembra esser diventato, nei mesi, la panacea di tutti i mali. La soluzione definitiva a tutti i malfunzionamenti, le incongruenze, i disservizi ma anche alle arretratezze del nostro Paese. Eppure, direbbero i latini: non est aurum quod radiat – non è tutto oro ciò che luccica. L’ingente quantitativo di danaro proveniente dall’UE e messo a disposizione per consentire all’Italia di ripartire dopo il dramma della pandemia e attenuare i divari socioeconomici all’interno dei confini nazionali, potrebbe essere a rischio. E infatti, nel Rapporto “In quali comuni italiani la realizzazione delle opere del PNRR incontrerà le maggiori difficoltà?”, che la Fondazione CON IL SUD ha commissionato a Gianfranco Viesti, professore ordinario di economia applicata presso l’Università di Bari “Aldo Moro”, si legge: “…affinché il PNRR si possa realizzare e dispiegare così i suoi benefici effetti sull’intero Paese è indispensabile un’immediata e forte azione di sostegno, attraverso nuove assunzioni di personale o tramite supporti tecnici esterni, in special modo verso i comuni di Napoli, Brindisi, Taranto, Reggio Calabria, Catania Messina e Trapani, monitorando attentamente anche possibili difficoltà a Bari, Palermo e Salerno. È un’assoluta emergenza, da affrontare con la massima urgenza”.
L’allarme. Una frase, specie l’ultima, che somiglia più ad un grido di allarme che alla logica conclusione di una accurata disamina tecnico-statistica scaturita dall’analisi delle dinamiche d’insieme delle amministrazioni comunali italiane negli ultimi 15 anni, riprendendo, in particolare, alcune valutazioni approntate dalla Banca d’Italia. Da queste prende le mosse lo studio del Prof. Viesti che evidenzia come il personale dei comuni italiani, in appena 13 anni di tagli, austerity forzata e blocco del turnover, fra il 2007 ed il 2020, si è ridotto del 27% con una dinamica però, decisamente peggiore al Sud che nel resto del Paese. La riduzione del personale nel Mezzogiorno è stata, difatti, del 32% mentre al Nord ha visto un calo più contenuto, sia pure significativo, attestandosi al 22%. Numeri allarmanti che non possono non avere ampie ripercussioni sia sulla qualità e quantità dei servizi essenziali da erogare ai cittadini che sull’attuazione dei progetti del PNRR. I dati disponibili mostrano anche più elevati tempi di realizzazione degli investimenti pubblici nei comuni del Sud. Una situazione, dunque, piuttosto intricata se si considerano alcune variabili che definiscono meglio il contesto in cui i comuni sono costretti a barcamenarsi: la gestione a loro carico di circa 40-50 miliardi di euro del PNRR, i cui due quinti ad amministrazioni del Sud (con tutte le criticità del caso: dissesti, predissesti ecc.), la relativa imminenza della scadenza per completare interamente le opere/i progetti prevista per la prima metà del 2026 e – appunto – l’esigua (o quantomeno la minore) disposizione di personale.
La costruzione degli indici di valutazione. Ma in quale perimetro si muove lo studio? Vediamolo insieme. L’analisi del Prof. Viesti si concentra sui comuni che, nel 2019, avevano più di 60mila abitanti. In tutto parliamo di 103 enti territoriali, di cui 24 non capoluoghi di Provincia, che mettono insieme ben 18,4 milioni di cittadini, poco meno di un terzo della popolazione totale italiana. Poi, si passa ad esaminare il personale dei comuni dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Le variabili prese in considerazione per questo specifico comparto sono cinque: 1) il numero di dipendenti nel 2019, che viene messo in rapporto alla popolazione (indice di dotazione del personale); 2) la variazione del rapporto tra dipendenti e popolazione tra 2008 e 2019 (indice di variazione del personale); 3) la percentuale di dipendenti laureati sul totale di quelli a tempo indeterminato (indice del titolo di studio); 4) la percentuale di quelli con meno di 50 anni (indice di età del personale); e infine 5) la percentuale di dirigenti (indice di qualifiche del personale). Tutti questi valori vengono comparati con le medie dei comuni medi e grandi (ovvero oltre i 250mila abitanti) e risultano alla fine negativi oppure positivi: un numero negativo segnala maggiori criticità rispetto alla media, mentre uno positivo evidenzia una situazione migliore. Queste informazioni elementari restituiscono, quindi, un indice sintetico allo scopo di indicare il “grado di difficoltà” delle amministrazioni comunali a far fronte alle proprie responsabilità. I valori dell’indice per i 103 comuni sono stati divisi poi in quattro quartili: il primo raggruppa le città con le maggiori difficoltà, e gli altri procedono di seguito.
Bene (o forse no), nel primo quartile, quello in cui sono ricompresi i comuni in maggiore difficoltà, troviamo ben 21 realtà del Mezzogiorno sulle 26 totali; nel secondo, 15 sulle 26 totali e, dal terzo in poi, ovvero nei gruppi nei quali ci sono i comuni più equipaggiati per la sfida del PNRR, si nota una sorta di rarefazione degli enti territoriali del Sud: appena 3 nei 51 complessivi. E ancora, fra le pagine del Report si scopre che nelle amministrazioni di Napoli e di Bari il numero di dipendenti rispetto alla popolazione è intorno alla metà rispetto a Firenze e Bologna; e che i dipendenti del comune di Napoli si sono ridotti di oltre il 50%. Che a Palermo e Catania la percentuale di dipendenti laureati è meno della metà della media nazionale, che a Catania solo 3 dipendenti comunali su 100 hanno meno di 50 anni e che ancora a Catania, ma anche a Siracusa e a Lamezia Terme, la percentuale di dipendenti con qualifiche dirigenziali è particolarmente bassa.
Il primo (e ultimo) quartile. Più nello specifico, l’indice conferma, nel primo quartile che, con qualche eccezione (Carpi e Imola in Emilia-Romagna, Guidonia, Aprilia e Latina nel Lazio), tali difficoltà sono molto maggiori in alcune amministrazioni del Mezzogiorno. In particolare, in Campania (Giugliano, Torre del Greco, Castellammare di Stabia, Napoli, Caserta, Casoria), Calabria (Catanzaro, Lamezia, Reggio Calabria, Cosenza), Sicilia (Catania, Gela, Messina, Trapani, Caltanissetta), Puglia (Foggia, Andria, Taranto, Barletta, Brindisi) e a Matera. Con la nostra regione, ahinoi, ben rappresentata con ben 6 città presenti e addirittura due, Giugliano in Campania e Torre del Greco fra le peggiori del novero delle 103 realtà urbane analizzate. E ancora, due fra le maggiori città italiane, Napoli e Catania, sono in una posizione fra le più critiche. Questi sono comuni certamente in grandissima difficoltà sia nella fornitura di servizi ai propri cittadini sia nella realizzazione di infrastrutture, perché le Amministrazioni presentano forti carenze in quantità e in qualità nel personale disponibile, ovvero perché il personale si è contratto in misura assai significativa (contrazione leggermente smorzata dai recenti concorsi).
I comuni più attrezzati (il quarto quartile). Di contro, i 10 comuni meglio attrezzati sotto il profilo del personale, per la fornitura di servizi e la realizzazione di investimenti pubblici sono, nell’ordine a partire dal “migliore”, Trieste, Trento, L’Aquila (ma a causa delle vicende del terremoto, un caso del tutto particolare), Reggio Emilia, Padova, Ravenna, Bolzano, Ferrara, Bologna e Varese. Tutti comuni, dunque, che si trovano nella parte centro-settentrionale del Paese. Un dato potenzialmente molto pericoloso per la messa a terra dei progetti al Sud malgrado, come molti di noi ricordano, la grande cifra destinata all’Italia, 209 miliardi di euro circa, preveda l’impiego di non meno del 40% del totale dei fondi proprio al Sud. In una terra però, povera di risorse, se non ora finanziarie, umane in grado di convertire la teoria in pratica, i progetti in cose concrete, reali per i cittadini del territorio. Lo studio, in definitiva indica, in maniera abbastanza palese, al netto delle voci discordanti e delle critiche ricevute, l’assoluta necessità di un urgente intervento di sostegno di queste amministrazioni per garantire la realizzazione degli investimenti previsti e quindi dell’intero PNRR.