EditorialeLa parità di genere e l’UE: il focus sull’attuazione

La parità di genere e l’UE: il focus sull’attuazione

di Annapaola Voto

Le carenze dei dati e l’assenza di un’analisi di genere rischiano di perpetuare le disuguaglianze

Nel precedente contributo sul tema abbiamo parlato della Programmazione e dei fondi deputati alla mitigazione o all’eliminazione di quelle barriere di genere che ancora sussistono e frenano la piena emancipazione della donna. Ora, invece, passiamo ad un fattore – se possibile – ancora più determinante: quello dell’Attuazione. La questione dell’uguaglianza di genere è ancora trattata per lo più in termini generali e limitatamente alle analisi di contesto e nella fase di programmazione, mentre è richiesta una maggiore attenzione nelle fasi di attuazione, monitoraggio e valutazione su base regolare. La Corte dei Conti europea – nella sua relazione del 2021 dal titolo “Integrazione della dimensione di genere nel bilancio dell’UE: è tempo di tradurre le parole in azione” – ha valutato se, a partire dal 2014, la dimensione di genere sia stata integrata nel bilancio UE, in particolare se tale aspetto sia stato incorporato nei Fondi strutturali e di investimento europei. La conclusione è che la Commissione non ha ancora tenuto fede al proprio impegno di integrare la dimensione di genere nel bilancio dell’UE: non ha promosso a sufficienza l’integrazione della dimensione di genere, e che il quadro istituzionale, seppur rinforzato, non sosteneva ancora appieno questo aspetto. La Commissione ha prestato scarsa attenzione all’analisi delle politiche e dei programmi, ha fatto un uso limitato di dati disaggregati e di indicatori e ha pubblicato poche informazioni sull’impatto complessivo del bilancio.

Durante il periodo di programmazione 2014-2020, gli elementi più critici ai fini della promozione dell’uguaglianza di genere attraverso la politica di coesione sono stati, appunto, il divario tra le dichiarazioni formali negli accordi di partenariato e i programmi operativi e la loro effettiva attuazione, sintomo di un impegno politico piuttosto debole in tale ambito.

Sotto questo punto di vista sono necessari, ad esempio, dati disaggregati per genere e indicatori pertinenti, basati su fonti affidabili e verificate, che consentano di utilizzare efficacemente il sostegno dell’UE, basato sull’analisi delle realtà locali delle disuguaglianze, per migliorare il processo decisionale e valutare i risultati delle azioni dirette e indirette della politica di coesione.

Le analisi – applicate lungo tutto il ciclo programmatico – servono ad individuare le differenze, in termini di condizioni e bisogni (valutazione delle esigenze di genere) e a stimare le conseguenze di una politica o di un programma (valutazioni d’impatto di genere ex ante ed ex post). Il monitoraggio e la valutazione devono essere effettuati sulla base di chiari obiettivi e indicatori per seguire i progressi compiuti verso il loro conseguimento: viceversa, nel 2014-2020 solo la valutazione d’impatto dell’FSE+ conteneva una limitata analisi di genere. Nessuna delle altre valutazioni d’impatto conteneva una spiegazione del motivo per cui non sarebbe stato “adeguato” effettuare una valutazione. Analogamente, la Commissione non ha monitorato in maniera efficace il contributo del bilancio al conseguimento della parità di genere: dei 1.000 indicatori (relativi ai 58 programmi), solo 29 indicatori (di cinque programmi) riguardavano la parità di genere.

In questo senso, al fine di assicurare gli obiettivi previsti dalla Condizione abilitante 4.2 “Quadro strategico nazionale in materia di parità di genere” concorrono sia l’FSE+ che il FESR, vale a dire il principale strumento di investimento – in infrastrutture – per la crescita e lo sviluppo dei territori europei. Una condizione abilitante è l’insieme di una serie di elementi che devono essere preventivamente assicurati e garantiti, pena l’impossibilità di ottenere il rimborso da parte dell’Europa delle spese sostenute. Ad esempio, ai fini del soddisfacimento della condizione 4.2, l’Italia ha dovuto assicurare all’Europa strumenti adeguati di monitoraggio e valutazione dell’attuazione della Strategia attraverso un sistema di governance gestito dal Dipartimento per le pari opportunità, una Cabina di regia interistituzionale (istituita con DM del 27 gennaio 2022, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 30 marzo 2022) e un Osservatorio nazionale per l’integrazione delle politiche per la parità di genere (istituito con DM del 22 febbraio 2022, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 30 marzo 2022).

Non di meno, è urgente un impegno politico forte per includere la difesa dell’uguaglianza di genere nella legislazione ordinaria, in assenza di un sistema unificato che agevoli la comprensione e l’attuazione uniforme dell’integrazione di genere nelle politiche dell’Unione, se è vero, come è vero, che laddove le politiche sono state adeguatamente accompagnate e sostenute da prescrizioni normative, hanno dimostrato una più che proporzionale capacità di conseguire obiettivi e risultati. Non a caso la Corte dei Conti europea, nella sua relazione sull’integrazione delle politiche di genere nelle politiche di coesione aveva raccomandato alla Commissione di rafforzare il quadro istituzionale, perché “nei settori in cui i requisiti giuridici sono stati definiti in dettaglio, ciò ha agevolato l’integrazione della dimensione di genere nei programmi”.

In questa direzione appaiono di rilievo le novità introdotte nel nuovo Codice dei contratti pubblici, che ha introdotto premialità a beneficio dei possessori della certificazione di genere. Nel Decreto Legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici, in vigore dal 1° aprile 2023) è stata confermata l’inclusione della Certificazione della parità di genere tra i requisiti idonei all’attribuzione di punteggi premiali agli operatori economici che intendano partecipare a gare d’appalto pubbliche.

Ai sensi dell’Art. 108, comma 7, infatti, le stazioni appaltanti devono prevedere nei bandi di gara, negli Avvisi e negli inviti, un maggior punteggio da attribuire agli operatori in possesso dei requisiti di cui alla Certificazione della parità di genere. In aggiunta, ai sensi dell’Art. 61, comma 2 nei contratti “riservati” le stazioni appaltanti devono prevedere come requisiti necessari o premiali dell’offerta l’implementazione – da parte degli operatori economici che intendano partecipare alla gara – di meccanismi e strumenti idonei a realizzare pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate.

Oltre a questo, sono previsti ulteriori meccanismi e strumenti a tutela del rispetto delle norme anti-disparità:

  • produzione del Rapporto sulla situazione del personale (di cui all’Art. 46 del Codice delle pari opportunità);
  • assenza di accertamenti per atti discriminatori;
  • impegno del soggetto che intenda partecipare alla gara di riservare a donne e giovani il 30% delle posizioni di lavoro necessarie all’esecuzione del contratto o alla realizzazione di attività a esso connesse o strumentali.

Non da ultimo, ai sensi dell’Allegato II.3, le stazioni appaltanti possono attribuire punteggi aggiuntivi agli operatori economici che:

  • utilizzino o si impegnino a utilizzare specifici strumenti di conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro per i propri dipendenti;
  • si impegnino ad assumere, oltre alla suddetta soglia minima percentuale prevista come requisito di partecipazione, persone disabili, giovani e donne per l’esecuzione del contratto;
  • abbiano, nell’ultimo triennio, rispettato i principi della parità di genere e adottato specifiche misure per promuovere le pari opportunità generazionali e di genere, anche tenendo conto del rapporto tra uomini e donne nelle assunzioni, nei livelli retributivi e nel conferimento di incarichi apicali.

Quali, quindi, potrebbero essere alcune delle prospettive e degli accorgimenti capaci di contribuire, nel corso della programmazione 2021-2027, al miglioramento e all’effettiva attuazione dell’integrazione della dimensione di genere nel bilancio dell’Unione e nei principali programmi? Volendo sintetizzare:

  • disponibilità di analisi puntuali e focalizzate circa le esigenze e gli impatti (non generiche, ma calate nelle concrete realtà);
  • raccogliere e analizzare in maniera sistematica e con metodologie accurate dati disaggregati per genere;
  • utilizzare obiettivi e indicatori per monitorare i progressi compiuti, che valutino non solo il salario e il reddito, ma anche aventi natura non economici (ad esempio benessere soggettivo, eliminazione della violenza di genere, impegno civile, equilibrio tra vita professionale e vita privata ecc.);
  • sviluppare un sistema di monitoraggio dei fondi stanziati e utilizzati a sostegno della parità di genere;
  • disporre di un quadro normativo che accompagni le scelte di genere negli investimenti, rendendole quanto meno più vantaggiose e convenienti, quando non “obbligatorie”;
  • proporre una percentuale del bilancio dell’UE da utilizzare per sostenere la parità di genere.

 In sintesi, una strategia globale e un quadro di governance coordinato con obiettivi e traguardi chiari – sia a livello europeo che nazionale e regionale – accompagnata da una normazione di vantaggio e da programmi di sensibilizzazione circa i benefici associati al perseguimento della parità di genere e delle pari opportunità, per le donne e gli uomini, ai fini della crescita socioeconomica e dello sviluppo sostenibile a livello nazionale e regionale.

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