di Annapaola Voto
A metà del XX secolo l’Europa teme di perdere nuovamente la pace, gli Stati usciti dal secondo conflitto mondiale stentano a capirsi, le istituzioni non sono così solide da garantire diritti e democrazia, i valori dello sviluppo non sono condivisi. Il vecchio continente è diviso in due blocchi, in due alleanze militari, con nuovi fronti di nazionalismo, famiglie spezzate e macerie da ricostruire. Erano le 16 del 9 maggio 1950 quando il ministro degli Esteri francese Robert Schuman pronuncia il discorso che avrebbe fondato l’Europa. Stava inaugurando la CECA, istituto che avrebbe riunito le industrie di Francia, Germania, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Fondere la produzione delle nazioni in un unico mercato era l’unico modo per evitare una nuova guerra che, nel 1950, era ben più di un ricordo.
Vale la pena sempre riportare il primo fondamentale passaggio di quel discorso fatto da Schuman al Quai d’Orsay: «La pace mondiale non potrebbe essere salvaguardata senza iniziative creative all’altezza dei pericoli che ci minacciano».
Si partiva dal carbone e dall’acciaio, cioè dalle risorse, dallo sviluppo, dall’industria, quello che serviva all’economia dell’epoca. Era un’Europa necessaria. Oggi, finito quel ciclo, è altro che sta costruendo l’Europa, un’alternativa ambientale per la sostenibilità dello sviluppo che non può che essere un cammino condiviso e una sfida collettiva di tutti gli Stati membri. Anche oggi l’Europa è necessaria, anche oggi, come allora, la premessa di tutto è la pace.
I sei Paesi che fondano la CECA si danno appuntamento a Roma il 1957, per ampliarla con un progetto più ambizioso: la Comunità Economica Europea (CEE). A distanza di poco più di sessant’anni, essa annovera ventisette Paesi e, dal Trattato di Maastricht del 1992, si chiama Unione Europea.
In occasione della giornata del 9 maggio, ho sentito il dovere, come Direttore generale di uno degli anelli di dialogo economico tra l’Europa e gli Stati, qual è la Fondazione IFEL Campania, esempio unico in Italia di programmazione a stretto contatto con la comunità regionale, non solo di portare il nostro contributo di memoria con questo speciale che vi offriamo in lettura, ma di provare a ragionare con fiducia e ottimismo senza farsi sopraffare dalla delusione per lo scarto tra l’ideale e il reale, tra le fulgide visioni di allora e la realtà di oggi. Se guardiamo indietro, non agli anni Cinquanta, ma a quattro anni fa, allo scoppio della pandemia in Europa, abbiamo dovuto assistere anche alla dolorosissima retromarcia del principio fondamentale di solidarietà tra gli stati membri, con il blocco delle esportazioni delle mascherine, una violazione al principio della libera circolazione delle merci, e che, fortunatamente, fece levare, nel giro di qualche settimana, il richiamo forte ai governi nazionali della Presidente della Commissione Europea Von der Leyen. Non era difficile immaginare che rispuntassero egoismi nazionali proprio riguardo alla politica sanitaria che è ancora una gelosa prerogativa degli Stati. Nonostante la drammaticità del momento, è stato proprio questo il terreno in cui, una volta scattata la ricerca di una strategia comune e solidale, si è riusciti con un confronto serrato a giungere a una composizione faticosa tra i diversi interessi nazionali. Avevamo però drammaticamente scoperto che “l’Europa quotidiana”, per ripetere il lessico di Ralph Dahrendorf, era diversa da “l’Europa della domenica”. Ma è proprio in quella crisi – una crisi di valori per un’Europa inceppata sugli obiettivi finanziari dell’unione economico-monetaria (e culminata con la Brexit) – che gli europei stanno cercando con fiducia uno nuovo spirito di coesione, uno spirito lontano dalla polarizzazione tra euroscettici ed europeisti, lontano da egoismi sociali e particolarismi regionali, sempre in agguato all’interno delle nazioni stesse (i pregiudizi del Nord Italia verso il Sud sono paralleli a quelli dei Paesi nordici europei verso quelli mediterranei), uno spirito lontano dalla paura che solo le frontiere nazionali possono proteggerci, dalle migrazioni e dai virus.
Il tesoro più prezioso che ha la cultura europea è la sua razionalità, il suo senso critico e autocritico, la sua capacità, pur nella burocrazia tecnocratica delle cancellerie, a semplificarsi in una Storia in continua metamorfosi, con tensioni e sfide in divenire, unica e molteplice, ambiziosa e solidale. L’Europa è un processo, non un obiettivo, è l’esperimento di un passaggio, di una transizione, proprio come ai tempi di Schuman, il passaggio economico-industriale-ambientale-produttivo non può che essere accompagnato da un passaggio valoriale, quello che abbiamo appreso, con dolore e paura, nei giorni in cui abbiamo scoperto una condizione comune di fragilità riuscendo poi ad elaborare strumenti condivisi di cooperazione, solidarietà, ripresa.
Cos’è un progetto economico, uno dei tanti di cui quotidianamente si occupa la Fondazione che ho l’onore di dirigere? È un progetto di comunità, di benessere dei cittadini grazie allo sforzo cooperativistico europeo e l’impegno amministrativo rigoroso richiesto per essere dentro i parametri decisi. Ecco, a me oggi piace ricordare questo orizzonte infinito di possibilità, sulla base di un bilancio di coesistenza tra gli Stati che reputo pieno di significati inconfutabili e significativi perché abbiamo avuto 70 anni e più di pace e di crescente benessere, pur tra le crisi finanziarie iniziate con l’inizio del XXI secolo e l’arrivo oggi di un conflitto con scenari internazionali preoccupanti. Siamo sicuri che ci sia un’alternativa al rafforzamento dell’Unione Europea? Dal 1950 il cammino dell’Europa è stata la storia di una comunità in crescita che ha cambiato volto, ha abbattuto frontiere, ha completato il mercato unico in virtù delle quattro libertà di circolazione – beni, servizi, persone e capitali – dal 1 gennaio 2002 ha una moneta unica, nell’ultimo decennio, dal 2010 ad oggi, pur nella crisi economica, abbiamo costruito la speranza che gli investimenti in nuove tecnologie verdi e rispettose del clima e una più stretta collaborazione possano portare a un benessere duraturo ed equo per tutti i cittadini.
È questa prospettiva e questi valori che guidano l’azione della progettualità della Fondazione IFEL Campania. Perché il tutto è l’insieme dei singoli tasselli e perché la mia esperienza dice che sforzarsi di elaborare modelli europei che partono da una terra che molto ha dato, storicamente, alla nascita e alla costruzione del pensiero europeo, è la sfida più avvincente per chi si occupa di dare forma e programmi alle visioni politiche.