Editoriale La sfida al nuovo analfabetismo digitale: Competenze e democrazia

La sfida al nuovo analfabetismo digitale: Competenze e democrazia

di Annapaola Voto

La questione del diritto all’alfabetizzazione digitale nasce da un’urgenza, che non riguarda solo la Campania. L’urgenza, cioè, di intervenire con politiche pubbliche per affrontare non solo un gap di competenze ma anche per contrastare il rischio di avviarsi, soprattutto con l’avvento dell’intelligenza artificiale, verso un analfabetismo di massa, con conseguenze dirette sul sistema della democrazia. Dico spesso che ci vorrebbe un nuovo maestro Manzi, un maestro Manzi del XXI secolo.

È, questa, una straordinaria storia dell’Italia del Novecento. Ricorderete certamente. Attraverso la più grande azienda culturale pubblica del Paese, la Rai, milioni di italiani, a distanza, oggi diremmo in smart, riuscirono a prendere la licenza elementare. Erano gli anni Sessanta. Pochi ricordano che quella fortunata trasmissione (si intitolava “Non è mai troppo tardi”) fu poi riprodotta in ben 76 paesi all’estero. 76. Il modello italiano divenne una grande campagna di alfabetizzazione a favore, evidentemente, delle classi sociali più disagiate. Erano gli anni in cui la successiva, sempre più concreta attuazione del diritto allo studio si avviava a garantire pari opportunità mettendo in moto l’ascensore sociale. L’Italia si avviava ad essere una democrazia compiuta. È un dato condiviso e riconosciuto che le competenze, la conoscenza, l’alfabetizzazione, l’istruzione permanente sono il presupposto della democrazia. Questo è un dato che vorrei sottolineare. Il preambolo della Carta dei Diritti dell’Unione Europea (dicembre 2000), non a caso individua nell’istruzione quel bene fondamentale per realizzare “i valori indivisibili ed universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà”. Un ideale ambizioso che richiede un processo educativo continuo. Quell’educazione permanente che mira soprattutto allo sviluppo di conoscenze, competenze e capacità per la piena realizzazione della cittadinanza democratica.

Questo dato storico è la premessa di una ricerca che ho avuto il piacere di condividere a Torino, alla conferenza scientifica annuale dell’Aisre, l’associazione italiana di Scienze regionali dove ho analizzato i molteplici aspetti che ruotano intorno agli obiettivi identificati nel processo di transizione digitale, con particolare riferimento alle condizioni che caratterizzano il contesto campano. Nel dettaglio, abbiamo posto sotto la lente di ingrandimento la misura 1.7.2 del PNRR e i potenziali impatti che la sua implementazione può determinare per favorire una maggiore inclusione digitale.

Oggi noi ci troviamo in un contesto, fatte le dovute differenze storiche, non molto dissimile a quello dell’Italia post-bellica. È ormai abbastanza pacifico il dato sull’impatto che l’era digitale sta già avendo sulla nostra società: la mancanza di competenze produce diseguaglianza economica, che a sua volta determina diseguaglianza culturale. La riduzione degli strumenti culturali produce una riduzione del tasso di democrazia. Anche perché – e questo è un altro dato centrale della nostra discussione – competenze digitali non è più soltanto una competenza tecnico informatica per accedere e utilizzare informazioni e servizi nella rete, ma è anche l’interpretazione critica dei dati e lo scambio collaborativo di conoscenza. Se esiste un’intelligenza artificiale esiste altresì un’ignoranza artificiale. Serve il sapere ma c’è bisogno che esso sia un sapere significativo, situato, autentico, verificato che aiuti a comprendere e gestire i contesti nei quali si opera servendosi di adeguate strategie di intervento critico.

Faccio solo un altro riferimento, in questa premessa, a una ulteriore cruciale questione, l’impatto sulla sostenibilità, cioè il costo energetico della conoscenza digitale. Avevamo immaginato – è stata la grande illusione degli ultimi anni – un mondo dematerializzato a impatto zero, simboleggiato dalla teleconferenza contrapposta alle “costose” e poco sostenibili trasferte fisiche. Le tecnologie digitali richiedono un’imponente infrastruttura fisica per funzionare, costituita da dispositivi terminali, centri di calcolo e reti di telecomunicazione. La preoccupazione nasce dalla crescita per ora esponenziale nella complessità dei modelli di IA, che si traduce in richieste sempre più esose di capacità di calcolo e di memoria. Troppo spesso ci siamo cullati nell’illusione che bastasse rendere le cose più efficienti per mitigarne l’impatto ambientale. La storia dello sviluppo economico e sociale dall’inizio della Rivoluzione Industriale per ora registra una crescita continua del consumo totale di energia, nonostante i continui miglioramenti tecnologici in tutti i campi. E proprio le tecnologie digitali sono un esempio macroscopico di questa tendenza. Nessun altro settore ha registrato progressi tanto straordinari in termini di miniaturizzazione, prestazioni ed efficienza energetica. Eppure, proprio grazie a questi progressi, il consumo energetico globale dell’ICT non ha fatto che crescere.

Per elaborare scenari di impatto dell’IA sul consumo energetico, quindi, non bastano le competenze degli esperti in tecnologie digitali. Occorre la collaborazione di economisti, sociologi e altri esperti. Se la questione digitale – e dunque culturale – è strettamente connessa con quella energetica – e dunque ambientale – è evidente che le linee di intervento pubblico non possono che essere interconnesse. È la grande sfida di una istituzione come quella che ho l’onore di dirigere, la Fondazione IFEL Campania. Il supporto alle politiche pubbliche di intervento per l’abbattimento delle diseguaglianze, la crescita della coesione, la spinta allo sviluppo significa, da parte nostra, estrarre valore dai dati per un nuovo modello di organizzazione sociale.

E vediamo, dunque, quali sono i dati dell’investimento dedicato alla realizzazione di una Rete di Servizi di Facilitazione Digitale che, in quanto investimento del PNRR, interessa l’intero territorio nazionale attraverso l’allestimento di punti di contatto con i cittadini per la facilitazione digitale. L’obiettivo dichiarato dal piano è legato alla trasmissione delle conoscenze teoriche e pratiche propedeutiche a favorire una più equa distribuzione delle competenze digitali tra i cittadini e tra i territori.

Chiaramente, il processo di transizione digitale non si produce in modo uniforme nello spazio. In particolare, osservando lo sviluppo dell’economia digitale, e le disuguaglianze digitali che in essa si producono, esaminiamo due estensioni del fenomeno: la multidimensionalità spaziale del divario, che non riguarda solo la disuguaglianza tra i luoghi, ma anche le trasformazioni nella produzione dello spazio e le modalità con cui influisce sui sistemi economici, sociali e culturali; la multidimensionalità sociale, che implica l’esclusione di molte persone dalla rete a causa di alcuni fattori connessi, ad esempio, all’alfabetizzazione, all’istruzione, ai fattori economici, culturali, di genere e ad altre barriere di natura sociale.

Nel nostro studio prendiamo come riferimento proprio il tema delle competenze digitali e come queste si distribuiscono tra la popolazione. A tal riguardo, com’è noto, la pandemia da Covid-19 ha rappresentato un grande spartiacque, all’esito della quale il dibattito sulle digital skills ha iniziato a considerare con maggior dettaglio le condizioni di svantaggio, passando a un sistema di rilevazione basato su cinque dimensioni: alfabetizzazione su informazioni e dati; comunicazione e collaborazione; creazione di contenuti digitali; sicurezza; risoluzione dei problemi tecnici. Dalla tassonomia “competenze digitali” si è passati a quella legata alle “competenze digitali almeno di base”. Questo non consente di monitorare storicamente l’evoluzione del dato, ma consente di comprendere come il focus di attenzione si sia spostato verso l’alfabetizzazione di base della popolazione, specie sui rischi di nuove fonti di asimmetrie socioeconomiche e culturali.

Analizzando le dimensioni geografiche ascritte all’accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, poniamo l’attenzione sulle competenze digitali almeno di base della popolazione come condizione soggettiva di ostacolo all’accesso, riferendoci, in primo luogo, alle competenze operative, in secondo luogo allo sviluppo di competenze informative e, infine, a quelle strategiche, intese come la capacità di utilizzare le fonti informatiche e di rete come strumenti propedeutici alla partecipazione democratica nella società. In questa prospettiva, l’accesso alle competenze propedeutiche ad un uso equo delle tecnologie digitali lo consideriamo come processo di appropriazione tecnologica capace di determinare espandere le condizioni storiche di produzione dello spazio.

La multidimensionalità spaziale con cui si determina questo processo è più che mai evidente analizzando la proiezione esterna e interna del nostro paese. Emerge, in linea con una tendenza di carattere generale, il cosiddetto doppio divario. Da un lato l’Italia, stante ai dati Desi 2023, si colloca quintultima tra i paesi europei per competenze digitali almeno di base. Dall’altro lo squilibrio interno, con il Rapporto Bes 2023 dell’ISTAT che, invece, ci mostra la sostanziale differenza tra Nord e Sud. Il valore medio italiano è del 45,9%, a fronte di quello europeo del 55,6%, e rappresenta una sintesi del dislivello tra il contesto più evoluto rappresentato dalla Provincia autonoma di Trento con il 56,8%, seguito poi da Lombardia (53,4%), e i contesti meridionali della Campania e della Calabria, fanalino di coda con il 32,2%.

In accordo con la letteratura scientifica sul digital divide, tra i molteplici fattori che agiscono su questa tipologia di divario, in Campania vi è una forte accentuazione di alcuni di essi, tra i quali, indubbiamente, predomina il livello generale di reddito della popolazione residente, il grado di istruzione e formazione, le condizioni di socio-vulnerabilità in cui ricorrentemente si ritrovano le donne, gli anziani e i giovani in povertà educativa.

Per quanto concerne la distribuzione della popolazione a basso reddito, sulla base delle analisi condotte, possiamo notare alcune tendenze che possono favorire il processo di implementazione della misura 1.7.2, contribuendo a intercettare efficacemente la popolazione maggiormente esposta agli effetti negativi del divario. In particolare, dalla rilevazione ed elaborazione dei dati statistici rilasciati dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (2023), relativi ai redditi dei contribuenti ricavati dalle dichiarazioni IRPEF, su base comunale, delle persone fisiche relative all’anno 2022, è visibile dalla figura n. 3 come le persone a basso reddito e a rischio povertà, con un reddito compreso tra 0 e 10.000 euro, crescono di percentuale nelle aree zone periferiche della Regione.

Un ulteriore livello di analisi è stato realizzato sulla distribuzione territoriale dei percettori di Assegno di Inclusione, la misura varata dal Governo in sostituzione del Reddito di Cittadinanza e che rispecchia i livelli di disoccupazione. Emerge un quadro di maggiore concentrazione dei percettori nelle province di Napoli e Caserta, mentre nelle province di Avellino, Benevento e Salerno il fenomeno è più contenuto.

Relativamente ai livelli di istruzione, nelle regioni del Mezzogiorno si registrano i valori più critici: in Campania il 46,1% dei giovani mostra competenze alfabetiche non adeguate e il 57,7% mostra competenze numeriche non adeguate. Nel 2023, il 61,6% dei ragazzi e delle ragazze di 20-24 anni residenti in Italia che ha usato Internet negli ultimi 3 mesi ha competenze digitali almeno di base. Tale quota decresce rapidamente con l’età, per arrivare al 42,4% tra i 55-59enni e ad attestarsi al 19,4% tra le persone di 65-74 anni.

Questo livello di competenze risulta caratterizzato da una forte disparità a vantaggio degli uomini, che nel nostro Paese è di 3,1 punti percentuali. Infatti, per quanto concerne il divario di genere, stando ai dati ISTAT 2023, posseggono competenze digitali di base il 28,9% di donne a fronte di una media nazionale del 44,3%, mentre il dato per i maschi si attesta al 36,2% rispetto alla media nazionale del 47,4%. È interessante notare come il differenziale percentuale tra maschi e femmine vari al variare della geolocalizzazione. Se prendiamo come riferimento le competenze digitali di base al 2023, notiamo che il differenziale di variazione percentuale maschi/femmine del Sud è di quattro volte quello maschi/femmine del Nord.

La missione 1.7.2 del PNRR risponde alle criticità fin qui rilevate, mirando a supportare le fasce della popolazione più vulnerabili di fronte al digital divide, ponendo le competenze dentro un quadro di essenzialità per realizzare la cittadinanza digitale, mirando a trasformare, così, il divario in inclusione.

Le singole regioni hanno scelto di adottare modelli di gestioni differenti della misura. Dal nostro sguardo comparato emerge chiaramente come l’attuazione delle politiche pubbliche su base regionale sia soggetta a geometrie variabili. Rinvio a una più dettagliata lettura la metodologia usata per il sistema di ripartizione territoriale, del target dei cittadini e del numero di servizi di facilitazione da erogare. È utile qui ricordare che l’applicazione della metodologia ha comportato un aggiustamento relativo alla localizzazione, su base provinciale, dei Punti di facilitazione oltre il criterio della popolazione residente. È in corso di sperimentazione l’applicazione della metodologia sui dati a livello di sezioni di censimento per la città di Napoli. Inoltre, l’allocazione sarà rivista alla luce dell’individuazione dei Punti di facilitazione gestiti da Poste Italiane. È un lavoro in divenire, una priorità per IFEL Campania. La democrazia può diventare rapidamente un guscio vuoto se non è sostenuta dai diritti fondamentali e dai valori che cerca di proteggere e promuovere. Non a caso il gruppo europeo per l’etica delle Scienze e delle nuove tecnologie ha elaborato un parere su “La democrazia nell’era digitale” che contiene anche una serie di raccomandazioni tra cui maggiore sostegno alla partecipazione pubblica, all’educazione civica, all’alfabetizzazione digitale critica e alla cittadinanza digitale inclusiva. E, infine, all’innovazione finanziata con fondi pubblici a beneficio di tutti. Mi sento di dire che siamo sulla strada giusta.

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