SaperiIstruzioneDomani si entra a scuola oppure in chat?

Domani si entra a scuola oppure in chat?

di Alessandro Coppola

“Cápita” a Roma, a Rebibbia, e in molti altri posti nel mondo! L’ultima opera di Blu mostra una giostra, apparentemente un gioco, sulla quale girano opposti destini umani.

Gli scivoli acquatici multicolore sfociano in due vasche. L’una accoglie in acque cristalline i fortunati, i ricchi e panciuti bagnanti, alle prese con cocktail invitanti e banconote, l’altra invece inghiotte nel putridume sconcio della società i reietti, gli ultimi, gli indifesi.

Una metafora visionaria, un pugno allo stomaco dopo la pandemia, dove inesorabilmente “i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri”.

Disuguaglianze, disparità ed ingiustizie partorite nel parco divertimenti, dalle sembianze organiche, di un contorto e ingarbugliato intestino umano come a rappresentare il caos sociale della modernità capace di generare, da un lato, progresso, gioia e sfarzo per alcuni e, dall’altro, miseria, degrado e povertà per altri.

Qual è il discrimine, il tasto on/off, per guadagnarsi un tuffo rassicurante e non invece un tonfo nel baratro? Solo frutto del fato oppure scelte e responsabilità collettive, e dei singoli, per assicurare approdi meno funesti per la stragrande maggioranza delle generazioni future? C’entra oppure no il modello della scuola del terzo millennio a fortificare il tessuto connettivo delle nostre comunità e, se sì, in che modo può farlo?

Nell’anno scolastico più lungo e buio degli ultimi settant’anni il tema principale trattato è stato quello delle chiusure e dei rientri, dei banchi posizionati in aula nel rispetto della distanza boccale e degli alunni separati dalle mascherine, della DAD e della DDI, dei termoscanner e dell’utilizzo della piattaforma ministeriale Argo che nessuno finora conosceva.

Il tema del rientro a scuola in sicurezza ha assunto in Campania un ruolo centrale: a dispetto dei dpcm governativi ispirati, tra gli altri provvedimenti previsti, ad assicurare le attività didattiche in presenza per le istituzioni scolastiche del primo ciclo e del secondo ciclo di istruzione, l’Ente regionale ha scelto – e ribadito in più ordinanze del Presidente della Giunta – una via prudenziale provvedendo a traslare online l’offerta scolastica per quasi 900mila studenti, per un numero di settimane ampiamente sopra la media europea. Con la modalità della didattica a distanza, si è scelto, in condizioni di emergenza, di tutelare per primo il diritto alla salute e subito dopo il diritto all’istruzione. Lo scotto pagato, comprese le misure di distanziamento sociale, ha impattato direttamente sulle relazioni sociali.

Al netto di un periodo di comprensibile smarrimento dovuto ad uno scenario drammatico, la domanda più frequente degli ultimi mesi è stata: “domani si entra a scuola oppure si entra in chat?”.

Abbiamo assistito per mesi ad una contrapposizione tra genitori no DAD e genitori pro DAD che hanno animato una surreale discussione, nel bel mezzo di una pandemia, come se ritornare alla scuola “di prima” fosse una determinante irreversibile, senza accorgersi che la scuola, come l’avevamo conosciuta, nostro malgrado, fosse stata già spazzata via dal virus e non ci fosse più.

Da più parti, con l’intento di praticare esperienze di resilienza, si è ribadita la necessità di «fare comunità». Non sempre tali dichiarazioni sono state pronunciate con consapevolezza o cognizione di causa. Non tutte le scuole erano comunità già prima, con divari talvolta intollerabili tra realtà e quartieri dei centri urbani storicamente più avanzati e forti e quelli maggiormente in affanno e più disgregati. In questi ultimi contesti, quindi, è stato più difficile costruire relazioni sociali e culturali trasponendo la didattica e il fare scuola in virtuale.

Cosa resterà di questo anno in DAD?

Insomma, come è andata? L’anno che abbiamo alle spalle ha visto l’intera umanità al cospetto di una prova senza precedenti, e, ancora, in queste settimane e in questi giorni, la pandemia sta provocando tanto dolore e sofferenza nelle nostre famiglie, tra i nostri amici e gli affetti più cari.      Finalmente possiamo contare sui vaccini e guardare al futuro con maggiore fiducia, consapevoli che sarà necessario nei prossimi mesi uno sforzo, organizzativo e di solidarietà, assai rilevante per garantire alle nostre comunità, ai cittadini più fragili, e – via via – a tutte le categorie la protezione che ciascuno merita. Siamo vicinissimi al traguardo di vincere la guerra contro un virus insidioso e, certamente, abbiamo condizioni generali migliori per guardare al prossimo futuro con positività perché intravediamo oggi la concreta possibilità di superare questa emergenza. Il contributo prezioso della comunità scientifica, i sacrifici sinora affrontati e lo spirito di reazione alla più grande calamità sanitaria della storia contemporanea hanno reso possibile la riduzione della pericolosità del virus, per quanto esso rimanga molto insidioso per le varianti che è capace di assumere e le modalità di trasmissione ancora parzialmente imperscrutabili.

Gli studenti, lontani dalle aule, hanno vissuto con pieno protagonismo, e non senza difficoltà, l’attività didattica e educativa in altre forme. Gli insegnanti, il personale scolastico, gli educatori hanno fatto il massimo sforzo perché la comunità scolastica rimanesse coesa e nessuno escluso. Purtroppo, non dovunque.

In esito alle dinamiche epidemiologiche, alla fase di contrasto del virus è seguita quella della ripresa con la graduale riapertura delle attività produttive e sociali seppure con scenari che impattano notevolmente sulla vita quotidiana dei cittadini e comportano una riorganizzazione della vita familiare, sociale e dei servizi con particolare riferimento a quelli di cura rivolti ai minori, agli adolescenti e ai giovani. Il rafforzamento e la coesione culturale e sociale non possono prescindere dalla realizzazione ed implementazione di percorsi educativi che favoriscano l’integrazione dei giovani a rischio marginalizzazione sociale o dei giovani gravati da situazioni di disagio.

Il Rapporto SVIMEZ 2020 evidenzia come le iniquità formative esistenti nei sistemi scolastici possano essere ulteriormente accentuate dalla condizione pandemica con gravi ripercussioni sull’eguaglianza delle opportunità che l’istruzione dovrebbe offrire e il conseguente inasprirsi di fenomeni di povertà educativa, delle condizioni di marginalizzazione e di incremento del tasso di dispersione scolastica. La questione è seria dal momento che il sistema scolastico, già prima del Covid, non appariva capace di assicurare percorsi di apprendimento inclusivi per gli allievi provenienti da situazioni più svantaggiate. Il divario Nord/Sud è impressionante: all’asilo nido è ammesso circa un terzo della popolazione 0-3 anni nel Paese e solo il 13% del Mezzogiorno; la spesa per i servizi socio educativi varia tra 1.255 e 1.468 euro nelle regioni del Nord e supera di poco i 270 euro al Sud; il tempo pieno è stabile da oltre un decennio intorno al 50% dei bambini in età scolare al Nord ed inferiore al 14% nelle regioni meridionali. Sui livelli di apprendimento e le competenze in lettura e matematica la situazione non va meglio. Un terzo degli studenti meridionali non raggiunge le soglie minime stabilite a livello europeo. Non tranquillizza nemmeno la situazione della dispersione scolastica che vede ancora pressoché stabile al 20% una percentuale di early leavers meridionali contro la metà nel centro Nord.

La pandemia ha acuito le iniquità formative esistenti nei sistemi scolastici con gli studenti più svantaggiati rimasti ancora più indietro rispetto ai loro compagni per la mancanza degli strumenti necessari per poter seguire le lezioni a distanza, spesso in contesti familiari dotati di scarsi mezzi culturali ed economici.

Conta purtroppo ancora molto il background familiare svantaggiato sull’eguaglianza delle opportunità che l’istruzione dovrebbe offrire. Al Sud un quinto dei ragazzi tra i 6 i 17 anni vive in famiglie in cui non sono disponibili dispositivi informatici e sale al 34% nelle famiglie di appartenenza con genitori con al massimo la scuola dell’obbligo. Il rischio che oltre un terzo dei ragazzi, in famiglie già gravate da problemi di marginalizzazione economica e sociale, senza adeguati e tempestivi interventi da parte delle Istituzioni, che pure sono intervenute sia a livello nazionale sia locale, vengano esclusi dal percorso formativo a distanza con conseguenze rilevanti nei prossimi anni sui tassi di dispersione scolastica è elevatissimo.

L’assenza di motivazione e i difetti di apprendimento connessi alla chiusura delle scuole e al loro funzionamento a singhiozzo rischia di determinare effetti a medio e lungo termine estremamente preoccupanti per la crescita educativa di bambini e adolescenti, soprattutto per quelli che già provengono da contesti deprivati. Secondo uno studio commissionato ad IPSOS da Save the Children a gennaio 2021 su un campione di 1.000 studenti della scuola superiore, sull’impatto della didattica online sugli intervistati, si possono stimare prudenzialmente circa 34mila studenti delle scuole secondarie di secondo grado come potenziali nuovi dispersi, ai quali va assicurato un intervento precoce e mirato.

Esistono cause esterne multifattoriali ma anche vincoli e limitazioni interni al sistema scolastico che andrebbero velocemente affrontati e superati. I problemi del digital divide, già assai evidenti agli inizi degli anni duemila, sono riapparsi con tutta la loro drammaticità nella situazione eccezionale dovuta all’emergenza.

Più in generale, la frammentazione delle competenze con l’animatore digitale che accende il server e modula il wifi, la funzione strumentale che seleziona la chat (Zoom o Teams o Classroom poco importa), l’insegnante che conta chi c’è e chi non c’è, se si sente oppure no, se la connessione cade ecc. non sono altro che la riproposizione di un modello vetusto – postfordista -, con la frammentazione delle competenze, la linearizzazione delle funzioni e dei ruoli organizzativi, la gerarchizzazione delle responsabilità che, tutte insieme, restituiscono uno scarsissimo valore aggiunto. Il significato alto della cultura e dell’esperienza educativa di ciascun ragazzo è l’esatto contrario del prodotto omogeneo e standardizzato, tipico dell’industria orientata alla produttività, e non è mutuabile nel contesto scolastico.

In altre parole, una catena di montaggio del percorso pedagogico nella scuola del terzo millennio, deleteria per la crescita e lo sviluppo personale degli allievi, per effetto dell’incuria e della separazione dai processi di innovazione e rafforzamento delle competenze digitali dell’intero comparto dell’educazione.

Quale scuola per il post Covid?

Il Paese ha attraversato un’emergenza sanitaria e sociale inimmaginabili sino a qualche mese addietro. È, dunque, assai forte il rischio di una caduta democratica imminente in uno scenario durissimo nel quale, a margine della pandemia, si acuiscono le disuguaglianze e le ingiustizie sociali.

La gravità della situazione attuale pone all’ordine del giorno il tema della rinascita della scuola aprendo una nuova fase di giustizia sociale, solidarietà e inclusione dei più fragili.

Bisogna pensare, cominciando dalla scuola, ad un processo di ricostruzione laddove erano già evidenti profonde lacune del sistema sociale e culturale: c’è urgenza di ritrovare, in ogni settore, il fattor comune che la crisi emergenziale ha smarrito, riannodando ciò che si è sfilacciato, restituendo relazione a chi è solo, riaffermando i diritti dove qualcosa, oltre il rischio di contagio, è andato storto.

Se tutti concordiamo sul fatto che si tratta del primo presidio democratico di cultura, di socialità e di legalità è da lì che bisogna cominciare. Costruire un progetto, declinare una visione pervenendo ad un percorso di reale riformismo per la persona con ragionamenti, idee, aspirazioni per il futuro delle nuove generazioni. Istituzioni, forze politiche, associazionismo sociale e civile, volontariato, terzo settore, movimento sindacale, imprese, mondo della cultura, della ricerca, delle arti e della scienza sono chiamate nel dopo pandemia a pronunciare all’unisono solo due parole: giovani e futuro.

E queste due parole hanno una casa che è la scuola: dai nidi alla prima infanzia, dalla primaria alla secondaria, del primo e del secondo ciclo, dalla formazione superiore ai percorsi di rafforzamento delle competenze, dai corsi di perfezionamento professionale all’apprendimento permanente degli adulti.

Intere generazioni di ragazzi e ragazze affrontano il dramma attuale di una scuola totalmente stravolta nelle sue connotazioni tradizionali ma da questo presente, attraverso gli ideali della solidarietà e della prossimità, si aspettano, nel solco tracciato dalla Costituzione, che gli adulti guardino soprattutto al futuro.

L’Italia del dopo Covid è chiamata a superare gli errori del passato evitando la restaurazione fallimentare di modelli culturali, economici e valoriali insoddisfacenti e avviando un profondo cambiamento incentrato sulle persone, sui cittadini, sugli studenti, sui più fragili per ragioni di salute, di età, di condizione sociale. Il modello rigido basato sull’offerta scolastica appartiene ad uno schema concettuale del Novecento articolato sui programmi, gli orari, gli organici, le materie, organizzati a livello centrale e strutturati in circolari e disposizioni verticistiche. Il passaggio all’educazione e alla cultura della solidarietà presuppone la costruzione di comunità locali, in particolare nelle aree periferiche e marginalizzate. Il legame con le giovani generazioni diventa una priorità della società italiana per rilanciare la sfida per il contrasto alla marginalizzazione e al disagio sociale di cui l’abbandono scolastico è una spia “nuda e cruda”, soprattutto nelle aree territoriali e nei quartieri più degradati dei centri urbani più popolosi.

Sono evidenti i limiti, sia strategici sia operativi, delle azioni connesse al governo del contrasto alla pandemia che, anche nel settore dell’Istruzione, dimostrano i vincoli e le criticità insiti nella riforma del Titolo V della Costituzione e pongono l’urgenza di una riflessione seria per proteggere il fondamento dell’unità nazionale e assicurare il principio di uguaglianza dei diritti, dei servizi e delle tutele ai cittadini sull’intero territorio nazionale.

Gli assi portanti di una politica scolastica capace di innovare un intero comparto corrispondono alle cose da fare subito per contrastare ogni tipo di inadeguatezza o criticità irrisolte. In tal senso è indispensabile nel più breve tempo possibile passare ad un modello di offerta di opportunità all’interno e all’esterno delle pareti scolastiche. Osservando gli esiti delle forme alternative alla didattica tradizionale è prioritaria l’introduzione di meccanismi incentivanti e premiali per i docenti coinvolti sia in lezioni in presenza sia in attività didattica a distanza. La possibilità di accedere a contenuti educativi, anche laboratoriali, in modalità sincrona e asincrona deve costituire un’opportunità di rafforzamento delle conoscenze, competenze ed esperienze per tutti gli studenti. Passaggio irrinunciabile è poi rappresentato dalla dotazione strutturale di competenze informatiche stabili per ogni istituto scolastico, accompagnata da una progressiva e trasversale ridefinizione dei ruoli, in proiezione digitale, di tutti gli operatori della scuola. Sotto altro aspetto, le esperienze di educativa territoriale, con l’apertura agli apporti stabili da parte di professionisti, imprese ed enti del terzo settore, vanno sicuramente allargate, a condizione che l’egida dei processi cognitivi e educativi sia mantenuta in capo agli organi della scuola, evitando derive confusionarie e maldestri tentativi di sovvertimento della leadership scolastica.

Si sono accresciute, nell’ultimo decennio, le distanze tra gli obiettivi di istruzione e i risultati conseguiti dai ragazzi a completamento dei due cicli formativi: solo il 60% degli studenti in possesso della licenza media dopo cinque anni conclude con il diploma un percorso di studi regolare. Non è più il tempo di aspettare e temporeggiare ingabbiati perlopiù in schemi concettuali anacronistici e inutilmente ideologizzati. Gli strumenti più veloci per comunicare (e non per insegnare) – internet, la rete, la DAD – hanno dimostrato l’estrema lentezza di un intero sistema e l’irrompere di nuove forme di povertà educativa.

Bisogna accelerare sulla scuola, con nuove visioni e più investimenti mirati, per non rimanere fanalino di coda in Europa. Il ministro Bianchi ha più volte insistito sulla necessità di ridare centralità al ruolo dell’insegnante e di recuperare lo strumento laboratoriale e la didattica online, in funzione complementare ed integrativa, tra le metodiche di insegnamento. Vedremo se sarà esattamente così. Per non essere costretti a dire ancora ai nostri ragazzi e alle nostre ragazze, chissà quante volte: “càpita”.  Per affermare nella scuola italiana l’idea di un futuro prossimo e non quella di un futuro anteriore, nella sua funzione epistemica.

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