Il 2020 nero dell’economia campana attutito grazie alle misure di sostegno di Governo e Regione
Il tasso di incremento del Pil del centronord sarà, a fine anno, di quasi tre volte superiore dell’incremento nel Sud. La previsione della Banca d’Italia lancia l’ennesimo allarme sulla crescita del divario tra le due parti del Paese.
Il dato segue lo studio della Banca centrale dedicato all’economia regionale campana e riferito al 2020, quando il Pil ha registrato una riduzione dell’8.2 per cento a fronte di un calo nazionale dell’8.9 per cento. Se il Pil ha subito un forte calo, la flessione del reddito disponibile di imprese e famiglie è attorno al 2 per cento, grazie alle misure di sostegno messe in campo da Governo e Regione Campania. Il settore più colpito dalla crisi è stato quello dei servizi – a livelli mai così bassi negli ultimi 10 anni – con particolare riferimento al commercio, alla ristorazione, al tempo libero e al turismo che registra un calo di flussi del 70 per cento e l’azzeramento dei crocieristi. Gli unici comparti che in Campania non hanno sofferto sono stati l’agroalimentare e il farmaceutico che sono stati trainanti per l’economia regionale.
È stata una crisi molto asimmetrica con settori fortemente penalizzati e altri che invece non hanno sofferto. Ad attenuare gli effetti della crisi sull’economia campana nell’anno del Covid anche l’export che, sebbene abbia un calo del 6.4 per cento, ha registrato performance positive nel comparto farmaceutico e agroalimentare che ha ampliato le vendite negli Stati Uniti. La domanda estera, che aveva attutito l’impatto sull’economia regionale delle passate crisi macroeconomiche, si è fortemente contratta. Le esportazioni sono calate nel primo semestre, sebbene meno intensamente che per l’Italia. Il turismo internazionale, che pure aveva sostenuto l’economia campana in precedenti fasi cicliche avverse, ha risentito pesantemente della pandemia. La flessione della domanda estera di beni e servizi ha inciso negativamente sulla movimentazione di passeggeri e merci tramite i porti e l’aeroporto della regione.
Complessivamente tra industria e servizi circa il 60 per cento delle imprese ha registrato un calo del fatturato. Da qui la necessità di ricorrere al credito e agli interventi messi in campo dal Governo. Secondo i dati, a dicembre 2020, il 65 per cento delle imprese aveva fatto ricorso o alle moratorie (Dl Cura Italia) o alle garanzie sui prestiti (Dl Liquidità) e il 17 per cento a entrambe. Il calo dell’occupazione, già in atto nel biennio 2018-19, si è intensificato (-1.9%) e ha colpito i soggetti più deboli: donne, giovani e stranieri. La flessione si è concentrata nel settore dei servizi, specie quelli del commercio, della ristorazione e alberghieri, che hanno risentito dello sfavorevole andamento del turismo internazionale e nei quali trovano maggiore diffusione i contratti a tempo determinato.
La flessione nei redditi da lavoro, sebbene contenuta dalle misure di contrasto alla povertà, e l’accresciuta incertezza hanno frenato i consumi delle famiglie e le compravendite di immobili residenziali. L’indebitamento delle famiglie ha conseguentemente rallentato sia nella componente relativa ai mutui per acquisto di abitazioni sia, soprattutto, in quella del credito al consumo. Allo stesso tempo, sospinta anche da motivi precauzionali, è aumentata la liquidità detenuta dalle famiglie nella forma dei depositi bancari, soprattutto in conto corrente.
Cosa servirebbe alle nostre imprese per fare un ulteriore scatto? Una seria riforma della pubblica amministrazione, che snellisca i percorsi burocratici e accorci drasticamente i tempi delle procedure. L’associazione di artigiani e piccoli imprenditori rileva, infatti, che “i peggiori pagatori si concentrano nel Mezzogiorno dove il 44% delle amministrazioni comunali paga oltre i 60 giorni”.