di Eliana De Leo
In una città in cui il rapporto con i morti è del tutto diretto e particolare (anche senza conoscere cosa sia Halloween), in cui ogni vicolo e ogni pietra sono intrise di esoterismo, di storie e leggende affascinanti, non può certamente mancare un palazzo dove leggenda vuole che sia rimasto seppellito il diavolo e che, quindi, i più conoscono proprio come il Palazzo del Diavolo.
Si tratta di Palazzo Penne mastodontico esempio di architettura rinascimentale poco conosciuto perché, purtroppo, da anni in stato di incuria ed abbandono. Nonostante questo, il fascino enigmatico che avvolge questo palazzo negli anni è rimasto invariato.
Un uomo innamorato, una bella, un pozzo in un palazzo del centro storico di Napoli: il mistero è assicurato.
Pare che nel 1406, anno di costruzione del palazzo, come si evince dall’epigrafe sul portone, Antonio Penne, facoltoso borghese e favoritissimo segretario del re Ladislao di Durazzo (il Magnanimo), avesse perso la testa per una giovane e bellissima donna. Un amore probabilmente non corrisposto. Perché la ragazza, alla proposta di matrimonio del Penne, rispose che avrebbe acconsentito a sposarlo solo se avesse fatto erigere in suo onore, quale dono d’amore, un intero palazzo in una notte sola. Impresa impossibile per tutti, non per il Penne che scomodò Belzebù in persona per chiedergli una mano.
Ogni patto col Diavolo che si rispetti richiede, però, il pegno più gravoso di tutti: la cessione dell’anima. Prezzo che, una volta ricevuto il palazzo, Antonio Penne è disposto a pagare ma con una clausola: il Diavolo avrebbe dovuto contare tutti i chicchi di grano sparsi nel cortile del palazzo. Un gioco da ragazzi, certo, ma non se alcuni chicchi sono stati cosparsi di pece e risultano impossibili da raccogliere anche per il Diavolo in persona. Raggirato e offeso il Diavolo cascò in una voragine al centro del palazzo: un pozzo profondo e oscuro nel cortile, dove dicono giaccia ancora dannato e oltraggiato.
Gli scaramantici sostengono che sia per questo che la storia di questo palazzo, soprattutto quella degli ultimi anni, sia stata tanto travagliata.
C’è da dire che, nonostante il breve tempo a disposizione, Belzebù fece per il Penne un lavoro encomiabile. Palazzo Penne è immenso e fonde elementi architettonici catalani, come l’arco depresso del portale, a elementi toscani, come le bugne della facciata. Tre sono i piani, di cui uno al livello del cortile interno e due sfalsati in corrispondenza della scala di piperno. Sul cortile, in origine, si affacciavano sedici scuderie per circa quaranta cavalli e sei carrozze, mentre il maestoso portico era adornato da statue, tutto poi fu rimaneggiato nel 1700 e successivamente completamente coperto dalle (in)evoluzioni di epoca recente.
Alla morte di Antonio Penne il palazzo passò ai nipoti, poi ad alcune generazioni di eredi, poi a diverse famiglie nobili: prima quella dei Rocco; quindi, quella dei Capano (principi di Pollica e baroni di Velia) il cui ultimo erede lo perdette per debiti di gioco. Negli anni 80 del 1600 il palazzo fu acquistato dall’Ordine dei Padri Somaschi, della vicina chiesa dei SS. Demetrio e Bonifacio, i quali lo modificarono trasformandolo in noviziato. Pare che per giungere alla conclusione dei lavori ci sia voluto quasi un secolo, vennero costruite le celle per i padri, nuove case nello spazio del giardino, mentre parte delle cantine sui Gradini di Santa Barbara vennero trasformate anch’esse in case o botteghe.
L’intera struttura, inclusa l’attigua chiesa, restò di proprietà dei Padri Somaschi fino alla soppressione dell’ordine, avvenuta durante il decennio francese (1806-1815). Il palazzo venne quindi messo in vendita e acquistato dall’abate Teodoro Monticelli, nobile dei baroni di Cerreto, illustre vulcanologo che qui vi trasferì la sua abitazione e la sua intera collezione. Monticelli ne fece, infatti, un vero museo di mineralogia con una ricca biblioteca al terzo piano frequentata da noti studiosi dell’epoca. Dopo la morte del Monticelli, avvenuta nel 1845, il patrimonio del museo fu venduto all’Università, mentre del palazzo restò custode il nipote.
La storia recente è fatta di avvii e brusche frenate, di fondi trovati e poi persi. Dal 2002, anno in cui è diventato di proprietà della Regione Campania, sono molte le peripezie che hanno visto al centro Palazzo Penne. Oggi, finalmente, il Palazzo del Diavolo si prepara a trovare una nuova identità, avulsa dalle leggende che ammantano un palazzo in decadenza.
Una nuova vita che ha il sapore dell’innovazione con la I maiuscola, quella che conserva e allo stesso tempo fa tornare a vivere veramente i patrimoni. La Casa dell’Architettura e del Design, un orizzonte avvincente e ambizioso che parte già con una mostra dedicata proprio al progetto di restauro, che aprirà il 14 dicembre nell’attigua chiesa di San Bonifacio. Un’occasione di riappropriazione di uno spazio, di un tesoro della città troppo grande per essere lasciato solo, in balia di una leggenda.
Avi Ducis Vultu Sinec Auspicis Isca Libenter Omnibus Invideas Nemo Tibi
«Tu che non volti la faccia e non guardi volentieri questo (palazzo) o invidioso, invidia pure tutti, nessuno invidia te» (Marziale) iscrizione sul portale d’ingresso di Palazzo Penne.