Mamme precarie o che rinunciano al lavoro per badare ai figli, salari ancora al di sotto delle medie pre-Covid, giovani senza occupazione, dispersione scolastica e impietosi benchmark con gli altri Paesi europei: la foto – sbiadita – del Bel Paese
La crisi pandemica è stata “un acceleratore di disuguaglianze sociali, economiche, educative”. In Italia le donne, e le mamme in particolare, hanno pagato “un prezzo altissimo”, mentre i giovani del Sud stanno rinunciando a trovare lavoro. Il rapporto di Save the Children descrive un’Italia al bivio, con l’opportunità di spendere presto e soprattutto bene i fondi del PNRR per fare in modo che le risorse pubbliche siano in grado di sanare quel “percorso ad ostacoli”, che sono costretti ad affrontare donne e giovani.
Solo il 42% delle mamme under 54 anni lavora, al Sud tutto più difficile. La ripresa dell’occupazione del 2021 è stata connotata in larga parte dalla precarietà delle donne e delle mamme nel mondo del lavoro. Nel rapporto “Le Equilibriste. La maternità in Italia 2022” emerge un “quadro critico” della situazione. Se si considera che le donne scelgono la maternità sempre più tardi, l’età media è 32,4 anni, e fanno sempre meno figli, (1,25 la media) e che soprattutto sempre più spesso devono rinunciare a lavorare a causa degli impegni familiari: il 42,6% delle donne tra i 25 e i 54 anni con figli, risulta non occupata con un divario rispetto ai loro compagni di più di 30 punti percentuali. Quando riescono a conservare il lavoro, molte volte si tratta di un contrato part-time come per il 39,2% delle donne con 2 o più figli minorenni. E quando in Italia c’è stata la ripresa, solo poco più di 1 contratto a tempo indeterminato su 10, tra quelli attivati nel primo semestre 2021, è stato a favore delle donne. Inoltre, nel solo 2020, in piena pandemia, sono state più di 30mila le donne con figli che hanno rassegnato le dimissioni, spesso per motivi familiari anche perché non supportate da servizi sul territorio, carenti o troppo costosi.
Vita difficile per le madri soprattutto al Sud. Le regioni del Mezzogiorno, assieme al Lazio, si posizionano tutte al di sotto della media. Basilicata (19° posto), Calabria (20° posto), Campania (21° posto) e Sicilia (17° posto) si avvicendano da anni nelle ultime posizioni. Quest’anno c’è anche la Puglia (18° posto), seppure per tutte le regioni del Mezzogiorno il trend globale sembra in sensibile miglioramento con un aumento di 4 punti negli ultimi quattro anni.
Le retribuzioni italiane restano basse. In Italia, inoltre, si amplia il divario salariale con altri grandi Paesi Ue, come la Francia e la Germania. Con i francesi la differenza in busta paga supera i 10mila euro in un anno, ma è con i tedeschi che lo stacco è maggiore e raggiunge i 15mila euro. A rilevare la stagnazione dei salari ed il gap retributivo in Italia è il rapporto della Fondazione Di Vittorio della Cgil, in un confronto con le principali economie dell’Eurozona. Dal primo ottobre, milioni di lavoratori tedeschi avranno diritto ad un salario minimo di 12 euro all’ora. Nel nostro Paese, invece, il dibattito per il salario minimo resta sospeso per via della recente caduta del governo Draghi. Il nuovo esecutivo però, potrà affrontare il tema partendo dal disegno di legge presentato al Senato, in Commissione Lavoro, e che propone i 9 euro l’ora. Tra dinamiche occupazionali che vedono l’exploit dei contratti a termine, il proliferare dei contratti ‘pirata’ e i rinnovi da portare a casa cercando di recuperare l’inflazione alle stelle, le retribuzioni italiane segnano il passo. E restano sotto la media dell’Eurozona. In Italia, secondo il rapporto della Fondazione della Cgil, il salario lordo annuale medio, pur recuperando dai 27,9 mila euro del 2020 ai 29,4 mila euro del 2021, rimane ad un livello inferiore a quello pre-pandemico (-0,6%). Nel 2021, nell’Eurozona si attesta invece a 37,4 mila euro lordi annui (+2,4%), in Francia supera i 40,1 mila euro, in Germania i 44,5 mila euro. Il risultato è che i salari medi italiani segnano così una differenza di 10,7 mila euro in meno rispetto ai francesi e di -15 mila rispetto ai tedeschi. Un andamento negativo su cui influisce anche l’alta percentuale di lavoratori poveri: sono 5,2 milioni i dipendenti (il 26,7%) che nella dichiarazione dei redditi del 2021 denunciano meno di 10mila euro annui.
In 6 regioni più Neet che lavoratori. L’Italia ha un triste primato in Europa, quello con il maggior numero di Neet, ragazzi che non studiano e non lavorano, che sono arrivati a essere 2 milioni. In 6 regioni, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, i Neet hanno superato i giovani che lavorano. In Sicilia, Campania, Calabria per 2 giovani occupati ce ne sono altri 3 che sono fuori dal lavoro, dalla formazione e dallo studio. Inoltre, quasi 1 milione e 400mila bambini sono in povertà assoluta, il dato più alto degli ultimi 15 anni, ma un bambino in Italia oggi ha il doppio delle probabilità di vivere in povertà assoluta rispetto ad un adulto e il triplo delle probabilità rispetto a chi ha più di 65 anni. Ed ancora: in Italia attualmente solo il 16% dei bambini ha accesso ad un asilo del comune e si registra uno dei tassi più alti di dispersione scolastica.