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Il futuro delle città è nel disordine. La sfera pubblica come spazio flessibile: realtà o utopia?

di Eliana De Leo

La commistione, il cambiamento, l’interazione tra la città e chi la vive creano le “città aperte”: il luogo della perfezione secondo il sociologo statunitense Richard Sennett. Protagonista, in questo numero, dei consigli di lettura

Erano gli anni ‘70 quando Richard Sennett scrisse la sua opera rivoluzionaria: Usi del disordine Identità personale e vita nella metropoli (pubblicato in Italia soltanto nel 1999 da Costa & Nolan) in cui sosteneva che l’ideale di una città pianificata e ordinata fosse imperfetto, producendo un ambiente urbano fragile e restrittivo. Col passare degli anni questo pensiero non ha mai abbandonato il sociologo statunitense, attualmente Senior Advisor delle Nazioni Unite per il Programma sui cambiamenti climatici e le città, docente al MIT e membro anziano della Columbia University.

Inserendosi nella importante tradizione di studi sulla città, l’attenzione di Sennett è sempre stata accesa, però, sull’analisi delle strutture sociali che conducono gli abitanti delle grandi città a forme sempre più pronunciate di isolamento dall’Altro, sia esso un evento sociale o un individuo. Sennett individua negli anni ‘70 il modello di tale meccanismo, nei tentativi di controllo dell’imprevisto e dello sconosciuto: un addomesticamento che passa anche attraverso la ricerca della perfezione e quindi del controllo dello spazio urbano, appunto. E non aveva ancora visto la pandemia.

Costruire e abitare. Etica per la città
Richard Sennett, Feltrinelli Editore, Collana: Campi Del Sapere, 2018, pp. 364, 25 euro

Pubblicato nel 2018 Costruire e Abitare Etica per la città, chiude la trilogia dell’Homo faber, iniziata dieci anni fa, in cui ha approfondito la capacità delle persone di costruire con intelligenza – L’uomo artigiano del 2008 – e di fare le cose con altri – Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione del 2012.

Nel saggio Sennett mostra come Parigi, Barcellona e New York hanno assunto la loro forma moderna e guida il lettore nei luoghi che sono l’emblema della contemporaneità, dalle periferie di Medellín in Colombia al quartier generale di Google a Manhattan. Tra incursioni filosofiche, storico-sociali senza mai perdere uno stile brillante e discorsivo, dalla dicotomia tra ville e citè tra l’intreccio della città che ormai non è più uno sfondo ma l’oggetto esplicito della riflessione nel suo interagire con chi la vive, con chi fa di essa una citè “A un certo punto del XVI secolo, la citè giunse a connotare lo stile di vita in un quartiere, i sentimenti della gente nei confronti dei vicini e degli stranieri e il suo attaccamento al luogo in cui viveva” Sennett trova la strada verso la “perfezione” nella città aperta. Un altro modo di costruire e di abitare le città che, in contrapposizione con la città chiusa segregata, fatta di agglomerati urbani ghettizzanti e in mostruosa espansione, cede anche la parola ai cittadini che mettono in gioco attivamente le proprie differenze e creano un’interazione virtuosa con le forme urbane. Quindi, fino a dove gli urbanisti possono spingersi nell’imporre agli abitanti la loro idea di città? E a chi devono rendere conto delle proprie scelte? Agli amministratori pubblici, perché le città siano più ordinate e più controllabili? Ai visitatori, affinché siano più attraenti da vedere? Il tema di fondo è trovare relazioni eticamente giuste tra progettisti e abitanti.

Sennett lo fa a suo modo accompagnando il lettore in un lungo e articolato viaggio nel tempo e nello spazio, dall’opera dei principali progettisti urbani del XIX secolo, come Haussmann a Parigi, Olmsted a New York o Cerdà a Barcellona arrivando fino ai giorni nostri, agli Emirati Arabi alla Colombia, senza perdere occasione per soffermarsi sulle smart cities, che sicuramente nel 2018 non erano smart quanto potrebbero essere oggi.

Progettare il disordine. Idee per la città del XXI secolo
Pablo Sendra, Richard Sennett Treccani Libri, Collana: Visioni, 2022, pp. 192, 21 euro

Era improbabile che un così convinto e prolifico pensatore delle città e del vivere sociale dopo quanto accaduto negli ultimi due anni non tornasse sui propri concetti. E, infatti, inesorabilmente lo fa. Sennett ritorna al futuro e rilancia il titolo che lo ha reso celebre, stavolta in versione aggiornata e in tandem con Pablo Sendra, architetto e attivista che insegna Pianificazione e Progettazione urbana presso la Bartlett School of Planning, University College di Londra. Progettare il disordine. Idee per la città del XXI secolo, già dalla quarta di copertina mette le cose in chiaro: “Urbanisti, privatizzazioni e sistemi di sorveglianza stanno assediando gli spazi pubblici urbani. Le nostre strade stanno diventando sempre più simili tra loro mentre la vita, il carattere e la diversità vengono espulsi dalle città. Che fare? È possibile concepire la sfera pubblica come uno spazio flessibile che si adatta ai tempi? Si può progettare il disordine…”.

Radicalizza l’etica della città aperta parlando di “infrastrutture per il disordine” che combinano architettura, politica, urbanistica e attivismo al fine di creare luoghi che alimentino piuttosto che soffocare, uniscano piuttosto che dividere. Luoghi che siano disposti al cambiamento piuttosto che bloccati nell’immobilismo. Treccani Libri che pubblica il testo nel febbraio di quest’anno, lo definisce un manifesto radicale e trasformativo per il futuro delle città del XXI secolo.

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