di Valeria Mucerino
Impossibile per un napoletano ricordare un Natale senza pensare agli affetti più cari riuniti intorno ad un tavolo per una bella tombolata, così come è difficilissimo dimenticare il nonno, lo zio o chicchessia che inizia a declamare i numeri dicendo: “Chest’è ‘a mano ‘e chist’è ‘o Panaro” tra le risate generali.
Ma a rendere quei ricordi così speciali è sicuramente la Smorfia Napoletana, ossia quel magico momento in cui i numeri si trasformano in sogni, eventi quotidiani, proverbi e nomi, solo per sfidare la fortuna e la sorte.
90:‘A paura;
33: Ll’anne ‘e Cristo;
25: Natale;
1: L’Italia.
La Smorfia napoletana ha radici talmente antiche da non riuscire bene a collocarle nella storia; infatti, la ritroviamo già nella civiltà greca, quando Artemidoro da Daldi, cominciò a mettere in comunicazione i sogni con i messaggi ultraterreni nel suo “Libro dei sogni”. Ma tante sono le ipotesi che potrebbero verosimilmente far pensare che sia nata da una corrente appartenente a una porzione di mondo a noi lontana o da una filosofia a noi territorialmente più vicina. Le influenze, probabilmente, sono molteplici. Tuttavia, se ci si sofferma sul termine “smorfia”, si può comprendere con semplicità come quest’arte si rifaccia alla mitologia di Morfeo, dio dei sogni. La Smorfia è, infatti, utilizzata da sempre col fine principale di interpretare il significato celato nelle visioni oniriche che vengono analizzate in ogni singola parte, al dettaglio, e vengono scomposte, pezzo per pezzo, senza perdere l’osservazione d’insieme, secondo un meccanismo preciso che porta alla creazione di una numerazione che contiene e concatena varie figure e molteplici casistiche della vita di tutti i giorni. Secondo alcune teorie, si sospetta anche che la Smorfia possa essere ispirata alla Cabala ebraica, la quale fa uso dei numeri per svelare i significati reconditi della realtà apparente. Tuttavia, quel che di certo si sa è che la sua diffusione è sicuramente legata ai 90 numeri utilizzati nel gioco del Lotto, nato a Genova nel XVI secolo e legalizzato poi nel ‘700 in tutti gli stati italiani fino a diventare popolarissimo e molto amato dal popolo partenopeo, già fortemente superstizioso e solito invocare tre categorie di forze soprannaturali: i santi, i morti e i folletti.
La Smorfia e il Lotto, curiosità e tradizioni
Tra la Smorfia e il Lotto c’è quello che solitamente viene definito “un matrimonio d’amore”, tant’è che è uso comune a Napoli, estrapolare i numeri da giocare proprio da eventi quotidiani o da ricordi di fatti attinenti al mondo dei sogni. Un legame talmente stretto da sfociare in superstizioni in grado di condizionare anche le giocate. Infatti, quando i numeri vengono suggeriti dai sogni, è convenzione, ormai assodata, che le puntate debbano necessariamente essere “pure” senza l’aggiunta di altri estratti e che vadano seguite per le tre estrazioni successive. E guai a rivelare a chicchessia il “dono” ricevuto in sogno, pena l’annullamento della loro validità.
Sta di fatto che, sin dai suoi albori, Il gioco del lotto a Napoli fu preso così seriamente da portare Matilde Serao a dire: “Ebbene, il popolo napoletano rifà ogni settimana il suo grande sogno di felicità, vive per sei giorni in una speranza crescente, invadente […] il lotto è il largo sogno, che consola la fantasia napoletana: è l’idea fissa di quei cervelli infuocati; è la grande visione felice che appaga la gente oppressa; è la vasta allucinazione che si prende le anime” (1884, Il ventre di Napoli).