di Eliana De Leo
Un lavoro di ricerca durato 7 mesi, da ottobre 2021 al maggio 2022, che ha portato ad individuare 45 organizzazioni del Terzo Settore che operano sul territorio di Napoli Est, molte di queste sono state intervistate sia in presenza che da remoto nel periodo che va da febbraio a maggio 2022. Interviste condotte dall’assegnataria della borsa di studio IFEL Sofia del Viscovo, in convenzione con la Federico II di Napoli, con gli informatori chiave di ogni organizzazione; le macro-tematiche d’indagine sono ampie e importanti, soprattutto se si parla di enti del Terzo Settore; partendo dagli ambiti di azione e i beneficiari, alla situazione economica e finanziaria, il modello organizzativo e gli attori coinvolti; il network, i progetti di innovazione sociale ed il reperimento dei fondi per realizzarli le strategie comunicative e la riorganizzazione delle attività a causa dell’emergenza Covid-19.
Obiettivo della ricerca Innovazione sociale e sviluppo del territorio: la progettazione partecipata a Napoli Est a cura del Prof. Stefano Consiglio, Presidente della Scuola delle Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, nonché ex membro del Comitato Scientifico di IFEL Campania e prossimo Presidente di Fondazione con il Sud è stato principalmente quello di analizzare, quindi, i modelli gestionali e organizzativi delle imprese sociali ricomprese nell’alveo del Terzo Settore con sede a Napoli per provare a definire delle linee guida da offrire a realtà localizzate anche in altri comuni della Regione Campania.
Abbiamo parlato col Prof. Consiglio proprio di questo: d’innovazione sociale e rigenerazione urbana, di coinvolgimento della cittadinanza, in un’ottica di rinnovamento di Napoli Est, ma non soltanto.
Su Poliorama temi legati all’urbanistica, all’abitare, alle politiche di sviluppo sono di casa, recentemente, ne abbiamo trattato anche attraverso i libri, in particolare nei testi del sociologo Richard Sennett, sostenitore dell’Etica della Città Aperta in cui i cittadini mettono in gioco le proprie differenze in interazioni virtuose che poi, di fatto, creano lo spazio urbano. Lei cosa ne pensa? E, alla luce della sua esperienza, quanto è importante la presenza degli Enti del Terzo settore ai fini del coinvolgimento della cittadinanza e della rinascita dei luoghi?
«Nella nostra città sono in atto tante esperienze che nascono da impegno e determinazione di soggetti che di fronte alle problematiche sociali piuttosto che limitarsi al lamento provano ad agire, rimboccandosi le maniche. E queste sono senza dubbio interazioni virtuose. In passato, quando queste azioni venivano supportate economicamente dalla politica, s’innescava un meccanismo che creava rancori, invidie. Paradossalmente, oggi, il forte ridimensionamento di queste risorse, dovuto un po’ alla crisi del welfare degli ultimi anni, ha fatto sì che avvenisse una maggiore collaborazione tra strutture associative/fondazioni, spesso scuole e altri soggetti che oggi definiamo di azione “dal basso”; di fatto ignorando un po’ la presenza dell’operatore pubblico. Napoli Est è un esempio lampante di questo fenomeno. È venuto a crearsi un vero Capitale fiduciario tra queste realtà del Terzo Settore e i cittadini che hanno toccato con mano come l’azione di queste realtà agisse concretamente nella vita di tutti i giorni. Ragazzi, famiglie che non possono permettersi spese per attività che vadano al di là della scuola possono beneficiare di doposcuola, laboratori artistici, attività sportive. Ma non solo, c’è una proliferazione di soggetti e di azioni, penso anche, ad esempio alla piccola comunità energetica nata a San Giovanni a Teduccio. Io credo nell’azione organizzata. Al di là del comitato dei cittadini per ricevere l’attenzione da parte del decisore pubblico su qualcosa che non va, più efficace è l’attivazione, il tentativo, intanto, di provare a fare delle cose».
Una parte importante, anche a giudicare da quel che viene fuori dalle interviste raccolte nel rapporto, è giocata dalla comunicazione. La comunicazione dei Fondi ed il coinvolgimento della cittadinanza sono questioni ormai note. Per garantire un adeguato impatto sociale, ad esempio, dei Fondi Comunitari le amministrazioni sono tenute a coinvolgere la cittadinanza per conoscerne le reali esigenze. In passato questo è stato fatto nei modi più vari. Secondo la sua opinione, cosa potrebbe o dovrebbe fare un buon Amministratore per coinvolgere realmente la cittadinanza e la comunità di riferimento?
«Su questi temi siamo impegnati in indagini e ricerche continue, da un’indagine successiva al rapporto curato con IFEL Campania realizzata dagli studenti del corso di laurea in innovazione sociale, con una trentina di associazioni dei quartieri di Barra, San Giovanni e Ponticelli, emerge la consapevolezza del bisogno di un attore plurale che provi a mettere insieme queste realtà perché questo è l’unico modo per provare ad avviare un’interlocuzione stabile con la scuola, col mondo delle amministrazioni e sotto certi aspetti anche col mondo dell’imprenditorialità privata. Ovviamente è difficile, in queste realtà, trovare l’attore ideale che provi a interloquire. Svolgere questo ruolo di rappresentanza richiede tempo, presenza e risorse e ogni soggetto è molto dedicato alle proprie finalità per svolgere contestualmente anche questo ruolo.
Anche dal lato della PA, se ci fosse una volontà, come credo che ci sia, d’interloquire col mondo del Terzo Settore spesso non si sa da chi partire. In uno scenario così frammentato fatto di tante scintille, ognuna delle quali sprigiona anche tanta energia ma nel momento in cui c’è bisogno di dialogare con l’esterno è proprio complicato trovare un interlocutore, si crea anzi il rischio di creare conflitti, ‘parlo con uno e gli altri si arrabbiano’. L’unica possibilità è quella di costruire un livello d’interazione in cui il mondo della cittadinanza attiva, mondo della PA e mondo privato aumentino il dialogo, perché anche molte realtà imprenditoriali fanno fatica a realizzarsi in un contesto in cui manca fiducia o capitale sociale. Quando invece in molte di queste comunità c’è tanto capitale, ma pulviscolare che non riesce a fare massa critica. L’epoca delle consulte, delle tavole rotonde, delle occasioni di confronto sporadiche con la cittadinanza non ha portato a grandi risultati. Molto spesso hanno generato grande sfiducia, perché questo ricorrere alla consultazione senza che poi accadesse nulla non ha fatto altro che accentuare la sfiducia. La PA deve fare una sorta di cambio di paradigma, non può consultare sporadicamente e poi delegare al Terzo Settore, magari anche con risorse sottodimensionate, l’implementazione di servizi. La collaborazione deve basarsi su principi che sono sanciti. Sono i principi costituzionali da poco rinvigoriti anche dalla Riforma del Terzo Settore. L’articolo 55, ad esempio, è dedicato alla coprogettazione e co-programmazione in cui il pubblico non può mantenere le redini ma deve coinvolgere la cittadinanza nella costruzione delle politiche in una logica di partnership. È stato superato il dualismo decisore-fornitore/attuatore. È il caso, poi di ricordare che gli educatori sono notoriamente una categoria di professionisti molto formati che ogni giorno lotta contro le precarietà altrui ma che poi a fine mese deve fare magari i conti con la propria. Sono la nuova classe operaia degli anni ‘50. Percepiscono retribuzioni troppo basse e per problemi di liquidità nei pagamenti dei progetti finanziati, ad esempio, molto spesso non vengono retribuiti con puntualità».
In definitiva, cosa sta accadendo a Napoli Est? E cosa accadrà nel prossimo futuro?
«Una cosa interessante che sta succedendo a Napoli Est ma che si sta replicando anche in altri luoghi è quel che è accaduto, ad esempio, col centro Ciro Colonna. L’Associazione Maestri di Strada ha rilevato una scuola, mettendo in pratica la scelta un po’ visionaria di ospitare tante realtà nello stesso luogo, questa decisione ha creato una condizione favorevole alla collaborazione. Perché, di fatto, una collaborazione tra enti esiste già ma sempre relegata a singoli progetti, a singole iniziative. Il cambio di passo è quello di provare ad avviare un’interlocuzione costante. Quel che sta accadendo a Napoli Est rappresenta una sorta di modello che è possibile ritrovare in altre realtà. Non c’è nessuno che abbia una visione complessiva di quello che è in corso, almeno nel Terzo Settore non c’è nessuno che abbia contezza di tutto quello che si sta avviando, ma lo stesso vale anche per il Comune, non credo ci sia contezza del quadro complessivo delle progettualità che si stanno realizzando. E c’è un terzo fronte, quello imprenditoriale, anche lì molte cose si stanno realizzando che orbitano, ad esempio, attorno al complesso universitario. È per questo che anche l’università deve avere un grande ruolo in questo processo: servono mentalità nuova, nuove sensibilità, nuove competenze e capacità per superare il primitivismo organizzativo e la fragilità che caratterizza una parte del mondo del Terzo Settore, dove c’è moltissimo entusiasmo ma l’energia profusa non si traduce in impatto reale commisurato allo sforzo. In questo discorso rientra anche il mondo del Profit, che deve rendersi partecipe in questi processi di infrastrutturazione sociale, tra l’altro gli obiettivi dell’ONU dell’Agenda 2030, gli SDGs sollecitano le imprese a diventare benefit corporation a dare un contributo, a darsi non soltanto una missione di redditività e di profitto. È doveroso anche per l’impresa privata interrogarsi su come e quanto possa impattare positivamente sulle proprie comunità. Ridimensionare le esternalità negative e quindi impattare meno sull’ambiente e impattare di più sul benessere sociale.
Ognuno conosce un pezzettino di questo puzzle che se venisse ricomposto, ogni soggetto coinvolto riuscirebbe a finalizzare con maggior fiducia con maggior forza il proprio obiettivo. Guardo il bicchiere mezzo pieno e vedo che ci sono le condizioni per poter fare bene ma serve un cambio di logica, in un momento così triste dove ragazzi continuano ad essere coinvolti in episodi terribili, l’unica possibilità per far fronte a questi fenomeni è avere grande pazienza e tempo. Non esistono ricette che dicono che da qui a qualche mese si risolvono i problemi, in 72 anni di interventi nel Mezzogiorno con un approccio verticistico non ci sono stati risultati. Non bisogna scoraggiarsi se i risultati non arrivano subito, serve un lavoro determinato, lungo in cui però è fondamentale che si attivi questo meccanismo di collaborazione, ognuno deve fare la sua parte, investire in fiducia reciproca e in competenze».