di Gaetano Di Palo
La chiara e piena presa di coscienza dell’essere cittadino europeo è senza dubbio un passo fondamentale sotto il profilo politico del funzionamento democratico delle istituzioni, ma è importante sottolineare come tale status investa anche una propria identità civica, la cui consapevolezza assimila e definisce il senso stesso di appartenenza ad una comunità, per l’appunto quella europea, che converge sui medesimi principi e valori ed auspica la più ampia condivisione di stabilità, progresso e benessere sociale tra i suoi membri. Lo sviluppo di un sentimento europeo tra i cittadini europei è però un fenomeno sociologicamente complesso, dinamica che forse stenta a diffondersi quanto sarebbe invece desiderabile, poiché la struttura – e soprattutto la tenuta – del tessuto sociale di una comunità è un elemento imprescindibile per la sua sana e costante evoluzione, nonché per una sua appropriata interazione con l’esterno.
È molto probabile che tra le molteplici ragioni della attenuata pervasività del sentirsi europei possa annoverarsi la tenue spontaneità del processo di unificazione sociale, giacché di norma le comunità si sviluppano intorno alla codifica di valori, principi e contegni che assurgono a regole e standard generalmente accettati, fenomeno che si realizza attraverso una lenta sedimentazione nel corso di ampi lassi di tempo caratterizzati da comportamenti ed eventi anche di minuta entità, ma perlopiù assidui e continui, che finiscono col suggerire o imporre più o meno implicitamente valori e significati a determinate strutture, infrastrutture e relazioni.
L’accelerazione di un siffatto processo in tema di identità europea deve dunque fondarsi su di uno sforzo corale e plurilaterale teso a promuovere il fiorire ed il diffondersi di una cultura civica europea, forse prim’ancora che politica, che sia condivisa e non solamente comune, oltre che ad incoraggiare una indispensabile propensione alla reciproca curiosità culturale. Anche in tale ottica vanno dunque interpretati le Agenda, i Deal ed i molti Programmi europei: questi ultimi sia in maniera implicita che esplicita, stimolano, raccomandano, incoraggiano collaborazioni e cooperazioni tra organismi pubblici e privati operanti in più Paesi sovente individuando tra i requisiti soggettivi che identificano i potenziali partenariati beneficiari delle loro provvidenze la presenza di almeno un numero congruo di enti appartenenti a diversi Stati membri… È infatti indubitabile, anche se forse non semplice da misurare, il contributo alla costruzione e diffusione di un sentimento di belonging europeo fornito anche da decenni di iniziative di cooperazione comunitaria attraverso molteplici Programmi operanti su tanti e diversi temi: welfare, education, green, digitale, ricerca, etc. Molti di essi, al di là dei fini specifici perseguiti e degli output e deliverable prodotti, hanno di fatto offerto numerose occasioni di incontro, confronto, immedesimazione e condivisione, favorito la nascita di stabili relazioni professionali, accademiche, imprenditoriali e personali ed il silenziarsi dei riferimenti d’appartenenza nazionale.
Sembra dunque ragionevole affermare che il solo appello alla assonanza occidentale di caratteristiche storiche, demografiche, religiose e linguistiche non sia sufficiente allo sviluppo di un sentimento profondo e diffuso di appartenenza europea; così come la sola presenza di istituzioni numericamente e geograficamente rappresentative dell’entità sovranazionale non sia in grado, malgrado l’autorevolezza dei suoi membri, di instillare un maniera capillare e quotidiana un reale senso di comunità. Semmai è proprio la combinazione dialettica, dinamica, incessante e concreta di tali elementi che consente la formazione di una radicata ed estesa volontà di dar luogo ad una comunità coesa e civicamente protesa al proprio benessere, supportata e regolata da istituzioni attive che incarnano, alludono e nutrono l’idea e lo spirito di tale comunità ed entità politica.