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La Commissione europea approva la proposta di riprogrammazione del PR Campania FESR 21-27

di Annapaola Voto

Con Decisione CE(2024) 6748 del 26 settembre, la Commissione europea ha approvato la proposta di riprogrammazione del PR Campania FESR 2021-2027, presentata dall’Amministrazione regionale agli inizi di agosto scorso e finalizzata all’introduzione di un nuovo Asse destinato al finanziamento di operazioni coerenti con la Piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa (STEP), introdotta attraverso il Regolamento (UE) 2024/795.

La decisione rappresenta il via libera al nuovo Programma e, in particolare, alla destinazione di circa 600 milioni di euro ad investimenti in tecnologie critiche ed emergenti, per sostenere sia il settore manifatturiero che le “catene di valore”, in particolare nelle tecnologie deep tech e digitali, pulite e nelle biotecnologie. Come anticipato nel numero 22 della rivista (cui si rimanda per i dettagli), la dotazione complessiva del PR Campania FESR non subirà modifiche, mentre è prevista una riarticolazione tra gli Assi prioritari, che determina un ulteriore rafforzamento della capacità di investimento nei settori strategici per la doppia transizione verde e digitale.

Tabella 3 – Assetto finanziario del PR FESR Campania 2021-27 Decisione CE(2024) n.

Priorità 21-27 Dotazione Priorità  

(di cui) Dotazione meno importo di flessibilità (in €)

(di cui) Importo di flessibilità (in €) Dotazione

Priorità

Quota UE

(in %)

Quota UE (in €)     Quota totale (in €)
Priorità 1 – Ricerca, Innovazione, Digitalizzazione e Competitività 427.054.495 427.054.495 610.077.850 70%
Priorità 1bis – Tecnologie digitali, pulite e biotecnologie: contributo alla piattaforma STEP 581.141.969 581.141.969 581.141.969 100%
Priorità 2 – Energia, Ambiente e Sostenibilità 1.587.406.511 1.587.406.511 2.267.723.587 70%
Priorità 2bis – Mobilità Urbana Sostenibile 309.315.844 309.315.844 441.879.777 70%
Priorità 3 – Infrastrutture per la mobilità 194.941.156 194.941.156 391.965.510 49,73%
Priorità 4 – Sviluppo, Inclusione e Competenze 233.624.127 233.624.127 469.331.452 49,78%
Priorità 5 – Sviluppo Territoriale Integrato 405.160.000 405.160.000 578.800.000 70%
Priorità AT – Assistenza Tecnica 135.598.490 135.598.490 193.712.129 70%
Totale 3.874.242.592 3.293.100.623 581.141.969 5.534.632.274 70%

 

La principale modifica è, quindi, l’introduzione della nuova Priorità “1bis. Tecnologie digitali, pulite e biotecnologie: contributo alla Piattaforma Step”, destinata a sostenere lo sviluppo o la fabbricazione di tecnologie critiche in tutta l’Unione. Tale nuovo asse potrà avvalersi della possibilità – stabilita dal regolamento, di essere finanziato integralmente a valere su risorse europee, senza quindi necessitare del cofinanziamento nazionale e regionale. Inoltre, ad esito dell’approvazione della riprogrammazione la Regione Campania potrà beneficiare di un prefinanziamento eccezionale pari al 30% dell’intero ammontare dell’Asse: 174 milioni di euro circa che saranno anticipati dall’Europa al bilancio regionale e che dovranno essere utilizzati per consentire un avvio quanto più immediato possibile delle operazioni coerenti con la STEP.

Vantaggi di non poco conto, che restituiscono l’importanza che tali obiettivi rivestono a livello europeo nel quadro delle scelte di medio-lungo periodo che l’Europa è chiamata a fare, per assicurare la sostenibilità dello sviluppo anche in futuro, nonché la capacità di tenere il passo con le agguerrite strategie messe in campo dai competitor a livello globale (Stati Uniti, Cina e non solo). Sotto questo punto di vista, la genesi e l’attuazione della STEP si inseriscono in un dibattito più ampio che chiama in causa da un lato, le prospettive per un futuro di crescita dell’Unione e, dall’altro, il contributo che a questo obiettivo possono offrire politiche di coesione rinnovate.

Il panorama demografico ed economico mondiale è cambiato radicalmente: negli ultimi tre decenni il peso dell’UE nell’economia globale è diminuito, al pari della sua rappresentanza tra le maggiori economie mondiali, a vantaggio delle economie asiatiche in crescita. Il mercato unico, dal canto suo, è in ritardo rispetto al mercato statunitense: nel 1993, le due aree economiche avevano dimensioni comparabili, tuttavia, mentre il PIL pro capite negli Stati Uniti è aumentato di quasi il 60% dal 1993 al 2022, in Europa l’aumento è stato inferiore al 30%.

L’influenza futura dell’Europa dipenderà, anzitutto, dalle prestazioni e dalla scalabilità delle sue imprese. Oggi, le aziende europee soffrono il deficit di dimensioni rispetto ai loro concorrenti globali. Questa disparità penalizza l’Europa in numerosi settori: innovazione, produttività, capacità di creare occupazione di qualità. Proprio in quest’ottica va letta un’altra importante novità introdotta dalla STEP, ossia la possibilità di sostenere con fondi europei anche le grandi imprese, per metterle in condizioni di competere sulla scena mondiale, consentendo di diversificare le catene di approvvigionamento, di attrarre investimenti e capitali privati, di sostenere gli ecosistemi dell’innovazione e di proiettare una immagine forte dell’Europa stessa.

Viceversa, se questi temi non vengono affrontati, il rischio di deindustrializzazione nel continente – che per ora non appare irreversibile – assume la forma di minaccia concreta e, per questo, l’Europa e i suoi Stati Membri hanno il dovere di fare tutto il possibile per non abdicare al ruolo di leadership nei settori a più alto valore aggiunto e con maggiori potenzialità di crescita. Tuttavia, il sostegno dei fondi agli investimenti strategici è, oggi, limitato dalle dimensioni del bilancio dell’UE, dalla sua mancanza di attenzione e da un atteggiamento troppo prudente nei confronti del rischio. Il bilancio annuale dell’UE è modesto, pari a poco più dell’1% del PIL, mentre i bilanci degli Stati membri sono complessivamente prossimi al 50%. Inoltre, i mercati di capitali rimangono frammentati e i flussi di risparmio inferiori a quelli di altre economie.

La necessaria spinta all’innovazione non va disgiunta dalla riforma e dal completamento del mercato unico europeo, considerato che entrambi questi processi, se non adeguatamente guidati e sostenuti, possono produrre effetti perversi sulla convergenza all’interno dell’UE.

Il mercato unico, istituito per rafforzare l’integrazione europea eliminando le barriere commerciali, ha facilitato la libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali attraverso l’armonizzazione e il riconoscimento reciproco, rafforzando la concorrenza e promuovendo l’innovazione. Tradizionalmente, proprio il mercato unico e il conseguente aumento di scambi all’interno dell’UE hanno agito da “motore di convergenza”, diffondendo benessere, crescita e opportunità di sviluppo anche nelle regioni più povere, che hanno beneficiato degli attrattivi frutto di condizioni e fattori ­di produzione più convenienti. Ma quel mercato unico era il prodotto di un’epoca in cui sia l’UE che il mondo erano “più piccoli”, più semplici e meno integrati e nel quale molti dei principali attori di oggi non erano ancora presenti.

Lo scenario internazionale, nel frattempo, è evoluto e profondamente cambiato, rendendo non rinviabile un nuovo mercato unico. Non a caso, infatti, l’attuale narrazione del mercato unico non riscontra con la percezione che ne hanno i cittadini che lo vivono. Piuttosto che gli effetti positivi, le persone che vivono in queste aree spesso vedono solo gli effetti negativi della libertà di movimento. Qualsiasi sforzo di revisione del mercato unico è destinato a fallire se non risponde adeguatamente alle esigenze ed alle sfide cui devono far fronte i residenti di queste regioni in declino. Il successo del mercato unico dipenderà, quindi, dalla sua capacità di apportare benefici a tutti i cittadini europei e di ottenere il loro sostegno, contrastando la narrativa secondo cui dei vantaggi beneficino esclusivamente persone e territori già dotati dei mezzi e delle competenze per sfruttarne le opportunità, ampliando le disparità.

Le prospettive di continuità di una fase di crescita territorialmente coesa appaiono anche legate alla capacità di gestire la trasformazione del tessuto economico, in particolare nella direzione dell’innovazione spinta e della doppia transizione verde e digitale. Nello scenario di complessità e incertezza che continua a investire l’economia a livello globale, si è inserita di recente una corsa mondiale alle tecnologie pulite, digitali e a forte caratterizzazione innovativa, che non va disgiunta dalla lotta al superamento della dipendenza dalle materie prime critiche, che sta portando le principali economie all’adozione di massicci piani di investimento per lo sviluppo e per la supremazia globale. Questo processo può, a sua volta, determinare una profonda polarizzazione dello sviluppo in alcuni territori (o in parti di essi) a scapito di altri: laddove le politiche europee hanno investito per ridurre le disparità e le asimmetricità, la nuova corsa all’innovazione potrebbe determinare una inversione di tendenza dagli esiti non auspicabili, che darebbe ulteriore credito a processi disgregativi già in atto all’interno dell’Unione.

È fondamentale, di conseguenza, stabilire un solido collegamento – all’interno del mercato unico europeo – tra il sostegno a questi processi e un quadro di politiche socio-economiche e territoriali in grado di scongiurare il rischio che i costi diventino sistemici e a carico solo di una parte dei settori produttivi, dei territori europei e dei cittadini stessi.

Sin dai tempi di Delors, vi era stato un ampio consenso sulla necessità di sforzi e azioni a livello dell’UE volte a prevenire gravi squilibri economici e sociali derivanti dall’apertura del mercato. Accanto all’acquis sociale, il principale strumento a tal fine è la politica di coesione dell’UE: i fondi dell’UE erano stati concepiti per aiutare le regioni e i paesi meno sviluppati ad adeguarsi all’eliminazione delle barriere di mercato. Questo ruolo della politica di coesione, oggi, piuttosto che abbandonato, va rivisto e riadattato, da un lato, all’esigenza di finanziare settori strategicamente innovativi e, dall’altro, di proteggere i territori e i cittadini europei dai mutamenti e dalla transizioni in atto.

La gestione concorrente e la governance multilivello – caratteristiche peculiari delle politiche di coesione – già garantiscono il coinvolgimento attivo delle autorità regionali, locali e territoriali, delle parti sociali e della società civile. Tuttavia, per una politica realmente basata sul territorio, sulle persone e orientata al futuro è necessario intervenire a rafforzare la sua capacità di investire sulla promozione della trasformazione regionale e locale e sulla capacità di “sfruttamento” del potenziale e delle opportunità. La riforma della coesione dovrebbe puntare al rafforzamento (non allo svilimento) della dimensione territoriale, per indirizzare meglio gli investimenti e allineare interventi e investimenti alle condizioni locali e alle sfide europee.

Dovrebbe, d’altro canto, evolversi anche in politica proattiva, rompere la percezione di una politica che offre sostegno o compensazione e puntare alla mobilitazione del potenziale e delle risorse per lo sviluppo economico e la competitività, anzitutto nelle regioni meno sviluppate e più vulnerabili. Evolvere da politica “redistributiva”, a strumento capace di generare effetti moltiplicatori, in cui il rafforzamento delle economie locali sappia concretamente promuovere la vitalità economica complessiva dell’Unione. Tale evoluzione dovrebbe andare di pari passo con la definizione di strategie di investimento differenziate, adattate alle esigenze specifiche delle Regioni e dei territori, senza concentrarsi esclusivamente su strategie di “eccellenza”, e, di conseguenza, evitando il rischio di indirizzare investimenti esclusivamente in regioni già sviluppate e di polarizzare ulteriormente le economie.

Questo implica una politica di coesione riformata, che sappia meglio indirizzare e accompagnare una trasformazione che parta dal livello locale: a partire dalle unicità, dai punti di forza e dal potenziale territoriale, sostenere la diversificazione delle opportunità, per calibrare gli interventi. Una politica che promuova l’innovazione e la diversificazione, capace cioè di adattare le strategie di sviluppo per mettere le diverse realtà territoriali sulla strada del cambiamento, a partire dal livello di specializzazione esistente e puntando sui vantaggi comparativi. Una politica che sia anche veicolo di cambiamento per sostenere le regioni a reinventarsi – anche attraverso collegamenti e collaborazioni interregionali – permettendo loro di sperimentare ambiti e concentrarsi su settori in grado di spingere le innovazioni, in particolare quando i settori tradizionali mostrano segni di esaurimento o di perdita di appeal.

La piattaforma STEP rappresenta un anticipo del futuro delle politiche di investimento in Europa, sia per come è stata pensata a livello europeo, sia per come viene chiesto alle regioni di attuarla. Obiettivi e strumenti altamente sfidanti, anzitutto per i potenziali beneficiari che, per coglierne le opportunità, saranno chiamati a rivedere logiche di investimento tradizionali e la natura stessa del loro agire, per proiettarsi in una dimensione globale più ampia e competitiva. L’alternativa è continuare a “sopravvivere” nel recinto sempre più angusto di una comfort zone locale che, presto o tardi, sarà spazzato via da una concorrenza globale, contro cui risulteranno vane barriere protezionistiche o chiusure corporative.

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