di Redazione
Negli ultimi anni il mercato del lavoro campano è stato caratterizzato da tendenze che rispecchiano le difficoltà economiche del Sud Italia.
Tutti i dati del presente contributo sono riferiti all’anno 2023. La fonte è ISTAT.
1) Tasso di occupazione: il tasso di occupazione complessivo si attesta al 44,4%, ben al di sotto della media nazionale, che è del 61,5%.
2) Tasso di disoccupazione: il tasso di disoccupazione in Campania è pari al 17,4%, significativamente superiore alla media nazionale del 7,7%.
3) Disoccupazione giovanile: il tasso di disoccupazione giovanile, che riguarda la fascia d’età 15-24 anni, è del 40,8%, una delle percentuali più alte in Italia, evidenziando la difficoltà dei giovani ad accedere al mercato del lavoro.
4) Disoccupazione femminile: anche la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è limitata, con un tasso di disoccupazione femminile che si aggira intorno al 20,7%, con marcate differenze a livello territoriale, dall’11,4% nella provincia di Benevento al 25% nella provincia di Napoli.
La partecipazione femminile al mercato del lavoro rappresenta non solo una questione di pari opportunità ma costituisce anche una delle leve più efficaci per la crescita e lo sviluppo dell’economia. I dati evidenziano la crescita della partecipazione femminile in Italia, ma il divario con il tasso di occupazione maschile rimane alto.
Secondi i dati, al I trimestre 2024, la Campania evidenzia un livello del tasso di occupazione per le donne tra i 20 e i 64 anni, significativamente inferiore alla media italiana.
L’evoluzione del tasso di occupazione nel periodo 2018-2023 delinea la traiettoria compiuta dalla Campania rispetto alla media italiana: poiché l’incremento su base regionale è stato in linea con quello registrato nella media nazionale, non si è determinata una riduzione del gap che si mantiene su livelli molto alti, superiori ai venti punti percentuali.
I fattori che incidono su questa situazione sono riconducibili alla non attività di molte donne, in particolare nel Mezzogiorno, e nel differente trattamento delle condizioni contrattuali nel mercato del lavoro che si sostanzia in un maggior ricorso al part-time, anche involontario.
Infatti, dai dati delle Forze di lavoro si osserva un peggioramento generale della condizione delle dipendenti: nel periodo osservato si evidenzia un tasso di crescita della componente precaria pari al 4%; in Campania, la crescita è stata pari al 15%, oltre dieci punti percentuali in più rispetto alla media nazionale ma comunque in calo deciso dal picco registrato nel 2022.
Poco meno di un quarto, pari al 23,8%, delle donne occupate dipendenti in Campania nel 2023 sono contrattualizzate con un contratto a termine a fronte del 17,5% nella media italiana.
La quota anche se in calo rispetto all’anno precedente si mantiene su livelli superiori di oltre 6 punti percentuali alla media nazionale.
I dati confermano come anche in Campania, pur su livelli inferiori rispetto alle medie nazionali, l’investimento in istruzione avvantaggi l’ingresso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro come testimoniato dalla differenza nei tassi di occupazione tra chi ha conseguito un titolo di istruzione terziario rispetto alle donne con titoli di studio inferiori.
Altro indicatore in cui la Campania registra una performance inferiore al dato nazionale è quello che misura l’uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione.
Infatti, l’indicatore nel 2022 in Campania sembrerebbe interrompere la tendenza decrescente manifestata a partire dal 2018, evidenziando rispetto all’anno precedente un incremento a differenza di quanto registrato a livello nazionale: il 15,3% delle campane della classe d’età 18-24 anni escono precocemente dal sistema di istruzione e formazione, in misura doppia rispetto al Centro-Nord e superiore di oltre 6 punti percentuali alla media nazionale.
La divisione del lavoro all’interno delle famiglie, pur mostrando segni di cambiamento, è ancora sbilanciata a sfavore delle donne. Tale asimmetria si traduce in un’espulsione delle donne dal mercato del lavoro, oppure, per coloro che mantengono la propria professione, un aggravio dei carichi che sommano lavoro retribuito a lavoro non retribuito di cura.
Il confronto tra la condizione nel mercato del lavoro della platea delle madri con figli conviventi con quella delle donne con altri ruoli familiari, esclusi i figli, evidenzia che il tasso d’occupazione delle donne che non hanno figli conviventi è superiore di oltre venti punti percentuali rispetto a quello delle donne con figli conviventi (56,1% vs 34,9%); di conseguenza, il loro tasso d’inattività vale circa la metà di quello delle mamme con figli conviventi (28,7% vs 55,4%). Queste differenze trovano una ragione importante nella carenza dei servizi per l’infanzia.
Sono decisamente rilevanti le differenze di genere relative alla condizione professionale nel mercato del lavoro dei genitori campani con figli conviventi: infatti, la quota di madri occupate sul loro totale (tasso d’occupazione) è nettamente inferiore a quella dei padri (34,9%, a fronte del 74,9% tra gli uomini); d’altra parte, più di una madre su due risulta inattiva (tasso d’inattività), 55,4%, a fronte del 12,8% tra gli uomini.
La rivoluzione del lavoro
L’emorragia legata alla Great Resignation, le grandi dimissioni volontarie in massa, incominciata con l’arrivo del Covid-19 e legata ad un malessere, ben lontana dal paradigma di organizzazione del lavoro dello Stachanovismo o del Taylorismo che comportavano la spersonalizzazione del lavoro, continua ad aggiungere ulteriori elementi che ci fanno comprendere quanto si stia ribaltando la scala valoriale: non domina più il modello del benessere economico e del lavoro indispensabile, bensì quello basato sul benessere personale e sulla felicità.
Si parla molto di Generazioni X e Millenials ma in realtà i dati rivelano che questi nuovi comportamenti, che inducono gli individui a fare scelte anche rivoluzionarie nelle proprie vite, riguardano persone di ogni età, settore e posizione professionale. Per queste persone i nuovi obiettivi, il rilancio professionale, le collaborazioni fanno parte di un nuovo mindset in cui le scelte sono non solo informate ma anche pensate e vanno considerate come conseguenza di una idea di sostenibilità più consapevole e di un benessere, se ci pensiamo, anche più egoistico.
Garantire un adeguato work-life balance per donne e uomini, favorendo l’ingresso e la permanenza delle donne nel mercato del lavoro è uno dei tre obiettivi principali del Patto per la parità di genere (2011-2020) con cui il Consiglio dell’Unione europea ha inteso rafforzare la strategia della Commissione per la parità tra donne e uomini 2010-2015 e indirizzare il piano Europa 2020. In particolare, per garantire un migliore work-life balance il Patto europeo richiede essenzialmente il miglioramento della disponibilità di servizi e strutture accessibili per l’assistenza all’infanzia ed a soggetti non autosufficienti e la promozione di forme di congedo e lavoro flessibile per donne e uomini. Il Patto europeo è chiaramente in piena continuità con la corrente strategia dell’UE per la parità di genere (Gender Equality strategy) 2020-2025 mirata ai medesimi obiettivi.
In seguito alla pandemia e all’aggravarsi delle condizioni socioeconomiche, con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) si è inteso intervenire anche sulle disparità di genere, ponendo come priorità trasversale l’attuazione di una strategia nazionale che possa, entro il 2026, consentire all’Italia di guadagnare 5 punti e scalare la classifica del Gender Equality Index dell’EIGE (European Institute for Gender Equality). Nel PNRR, il legislatore ha previsto interventi e investimenti per raggiungere la parità di genere in Italia con particolare attenzione all’aumento del tasso di partecipazione femminile al lavoro, al miglioramento del work-life balance per le lavoratrici madri, alla riduzione delle asimmetrie presenti nel lavoro familiare.
In quest’ottica, l’obiettivo generale del presente contributo è quello di offrire una prima sistematizzazione di dati di matrice socio-economica e territoriale, in grado di cogliere le tendenze in atto in Campania al fine di implementare interventi e azioni mirati ed efficaci da parte dell’attore pubblico e di tutti i soggetti potenzialmente interessati.
Gender Gap e work balance
In Campania nel 2024 i genitori 20-49enni con figli conviventi sono circa 937 mila, in maggioranza donne, il 59,4%. La grande maggioranza dei genitori, circa il 90% pari a 839 mila persone, fa parte di una famiglia mononucleare classica, coniugata o convivente con figli; la seconda tipologia familiare per numerosità è quella della madre monogenitore, il 9,3% dei genitori campani, pari a 90 mila donne.
La quota di padri coniugati (89,4%) è circa 10 punti superiore a quella delle madri (80,1%), a causa della maggiore difficoltà per le donne di conciliare il lavoro con gli impegni familiari. I genitori stranieri in Campania sono 54 mila, il 5,8% del totale, in maggioranza madri.
Il livello d’istruzione dei genitori campani con figli conviventi è piuttosto basso, dal momento che due su cinque hanno conseguito al massimo il titolo conclusivo del primo ciclo d’istruzione, circa il 45% è diplomato (il 4,3% ha conseguito un diploma di 2-3 anni che non consente l’iscrizione all’università) e solo il 16% ha completato un percorso di istruzione terziario.
Le madri sono più istruite dei padri: infatti, il 37,6% ha conseguito al massimo la licenza media a fronte del 41,5% tra gli uomini; viceversa, il 18% ha conseguito il titolo terziario mentre i padri laureati sono il 13%.
Rilevanti le differenze di genere relative alla condizione professionale nel mercato del lavoro dei genitori campani con figli conviventi:
- la quota di madri occupate sul loro totale (tasso d’occupazione) è nettamente inferiore a quella dei padri (34,9%, a fronte del 74,9% tra gli uomini);
- d’altra parte, più di una madre su due risulta inattiva (tasso d’inattività), 55,4%, a fronte del 12,8% tra gli uomini.
La crescita registrata tra il 2021 e il 2024 dei genitori occupati non è sufficiente a colmare i divari territoriali: infatti, il gap tra il tasso di occupazione dei genitori di 20-49 anni in Campania e quello medio nazionale cresce di 2,4 punti percentuali, passando da 10,2 a 12,6.
Il confronto tra la condizione nel mercato del lavoro della platea delle madri con figli conviventi con quella delle donne con altri ruoli familiari, esclusi i figli, evidenzia che il tasso d’occupazione delle donne che non hanno figli conviventi è superiore di oltre venti punti percentuali rispetto a quello delle donne con figli conviventi (56,1% vs 34,9%); di conseguenza, il loro tasso d’inattività vale circa la metà di quello delle mamme con figli conviventi (28,7% vs 55,4%). Queste differenze trovano una ragione importante nella carenza dei servizi per l’infanzia.
Rispetto alla media italiana, che registra un differenziale tra il tasso d’occupazione delle madri e quello dei padri di quasi trenta punti percentuali, in Campania e in generale nelle regioni meridionali questo gap diventa più ampio (circa 40 punti percentuali), mentre nel Centro si riduce a 26,5 punti e nel Nord a circa 23 punti.
In Campania, poco più di un terzo delle madri sono occupate a fronte di 74 su cento nella media delle regioni settentrionali, con una differenza di circa 40 punti.
Meno della metà dei genitori stranieri residenti in Campania lavora, il 43,4%, circa venti punti in meno rispetto alla media nazionale.
Anche in Campania, il titolo di studio si conferma fattore fondamentale per innalzare la partecipazione al mercato del lavoro delle madri con figli: infatti, il tasso di occupazione sale dal valore drammatico del 15,3%, se il soggetto ha conseguito al massimo la licenza media, di 20 punti in presenza di un diploma e di circa 70 in caso di conseguimento di un titolo terziario.
In Campania, la quota di madri dipendenti con figli conviventi che lavorano con un contratto part-time (34,5% a fronte della media nazionale pari al 38,1%) è significativamente superiore a quella dei padri (9,6%, il doppio della media nazionale pari al 4,7%), a causa della squilibrata divisione dei ruoli in gran parte delle famiglie.
La quota dei sottoccupati part-time (le persone che vorrebbero lavorare un numero maggiore di ore sul totale degli occupati a tempo parziale) in Campania è pari al 40%, dieci punti percentuali più alta della media nazionale; invece, il dato regionale delle madri, pari al 9%, è in linea con la media nazionale.
Considerando la professione esercitata, una quota più elevata di madri rispetto a quella dei padri esercita professioni altamente qualificate (39,5% a fronte del 26,3% tra i padri); la quota di madri che svolgono mestieri mediamente qualificati (50,7%) è inferiore a quella degli uomini di 7 punti (58,6%); le quote che svolgono mestieri non qualificati sono prossime al 10%.
In Campania, il 74% dei genitori lavora nel comparto dei servizi (commercio e altre attività dei servizi), il 3,8% in quello dell’agricoltura, il 14,2% nell’industria in senso stretto e l’8,1% nelle costruzioni. L’analisi condotta sulle componenti del comparto dei servizi evidenzia che la quota maggiore di madri si registra nel settore dell’istruzione, sanità e altri servizi sociali (35% a fronte del 4,6% tra i padri). La quota delle madri occupata nel settore più innovativo dei servizi d’informazione e Comunicazione è bassa, il 2,3%, superiore di un punto percentuale a quella dei padri.
Il numero dei genitori disoccupati in Campania evidenzia una dinamica differente rispetto alla media nazionale: infatti, a fronte della crescita registrata su base regionale, +7% nel periodo, a livello nazionale si assiste ad una netta flessione dei genitori disoccupati, -27,8%.
Il tasso di disoccupazione diminuisce drasticamente con l’aumento del livello d’istruzione sia per le madri che per i padri: in generale, in Campania, il valore di questo indicatore è, infatti, pari al 27,7% tra i genitori che hanno conseguito al massimo la licenza media, diminuisce al 16,3% tra i diplomati e ancora al 4,1% tra i laureati.
Il 60% dei genitori disoccupati con figli conviventi sono disoccupati di lunga durata (da un anno e oltre).
Mediamente in Campania il 22,1% dei genitori disoccupati non ha avuto una precedente esperienza lavorativa, la quota sale al 35,9% tra le madri e scende al 6,2% tra i padri, mentre il restante 78% è stato occupato.
I genitori inattivi in Campania diminuiscono, -19,5%; tale dinamica replica quella registrata a livello nazionale, anche se su ritmi meno sostenuti. Più della metà delle madri campane sono inattive a fronte di un quinto nella media delle regioni settentrionali, con una differenza di circa 30 punti percentuali. Considerando le forze di lavoro potenziali, la quota d’inattive che non sono disponibili a lavorare si riduce dal 55,5% al 36,3%.
In Campania, nel 2024 il primo e principale motivo d’inattività delle madri è la maternità, la necessità di prendersi cura dei figli o delle persone non autosufficienti (60%). Delle circa 83 mila madri campane che sono inattive nel 2024 in quanto dichiarano che devono prendersi cura dei figli o di persone non autosufficienti o sono in maternità, il 14,4% dichiara che non ha cercato lavoro perché nella zona in cui vive i servizi di supporto alla famiglia, compresi quelli a pagamento (baby-sitter e assistenti per anziani), sono assenti, inadeguati o troppo costosi. Nel periodo analizzato, la percentuale si mantiene stabile tra il 12-16% così come quella relativa alle madri che preferiscono occuparsene personalmente, intorno all’85%. Quest’ultimo dato induce a pensare che la scelta di non cercare un’occupazione da parte della grande maggioranza delle madri inattive per motivi familiari è volontaria.
Tra i padri, il 40% è in attesa di passate azioni di ricerca o di riprendere il lavoro mentre si dichiara scoraggiato il 36,7%.