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L’Italia meridionale può ancora provare a riprendere le sorti del proprio destino

di Pasquale Russiello

Abstract

Si tratta di un interessantissimo articolo di approfondimento che si sofferma in maniera per niente scontata sulla grande ed irrisolta “questione meridionale”. L’autore pone l’accento sull’efficacia delle politiche economiche adottate da oltre un secolo a questa parte e in particolare sulla sottaciuta tematica della perdita di capitale umano che sta irrimediabilmente cambiando la genetica del meridione d’Italia.

Il Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica ha inteso favorire la conoscenza di alcune dinamiche chiave e dei principali indicatori dal 2000 in poi. Questa preziosa iniziativa, può essere agevolmente arricchita dalla scomposizione di alcuni dati riferiti all’Italia, riscontrando l’andamento tra le quattro macro-aree nelle quali viene convenzionalmente suddivisa, per avere uno spaccato ineluttabile della dimensione del divario tra nord e sud e sull’efficacia delle politiche adottate da oltre un secolo a questa parte.

La presa d’atto degli errori di previsione e di programmazione in economia è una prassi molto poco diffusa, è vero che si tratta di una materia composta da un elevato numero di variabili, ma margini tanto ampi, non sono tollerati in nessun’altra disciplina scientifica. Gli organi preposti ad adottare decisioni di politica economica hanno prima riconosciuto la validità di questi margini, istituendo una prassi in base alla quale per gli errori di programmazione non c’è alcun prezzo ne pegno da pagare e, su queste assumptions, hanno sviluppato una insensibile attitudine a guardare avanti, parlando subito della prossima previsione.

Il dato acquisto, sia esso negativo, molto negativo o catastrofico è del tutto irrilevante, così non è però per coloro che i territori oggetto dell’errore li abitano, o li abitavano, come diremo in seguito. Joseph E. Stiglitz, Amartya Sen e Jean-Paul Fitoussi[i], nel loro rapporto alla Commissione sulla Misurazione delle performance economiche e lo sviluppo sociale, individuano i presupposti per un nuovo approccio valutativo ed il conseguente ripensamento delle politiche da adottare per favorire la crescita. La creazione di un nuovo possibile percorso non ha tuttavia sortito effetti. Ma non poteva accadere diversamente per una ragione di fondo, quella sì, senza margini di errore: il debito, con i correlati interessi pagati ai finanziatori. Il debito, nelle aree in ritardo di sviluppo, sottrae più risorse di quante potenzialmente se ne possano generare, facendo sì che la crescita avvenga in modo del tutto casuale ed a tassi del tutto insignificanti se rapportata allo stock di debito da scalare.

Chi potrebbe consentire una crescita vigorosa in presenza di condizioni finanziarie tanto penalizzanti? Una popolazione coesa, eticamente inappuntabile, illuminata dal punto di culturale e scientifico e rispettosa di valori quali la famiglia, l’ambiente, il pubblico interesse. Una popolazione che nel corso dell’ultimo secolo è nata e si è formata in Italia meridionale, ma che in modo tanto silente quanto incessante è defluita altrove, laddove le condizioni non erano drammatiche prima e sono promettenti ora.

Nel corso di questo secolo, il corpo del meridione d’Italia si è geneticamente modificato. L’emigrazione di una quota enorme di popolazione avente tutti i requisiti per contribuire alla qualificazione ed al rilancio del territorio ha alterato la composizione del proprio capitale umano, divenendo qualcosa di diverso da ciò i numeri raffigurano e rendendo fuorvianti tutte le analisi preliminari. Analisi fuorvianti oltre che errate anche perché il fenomeno dell’emigrazione non è stato mai oggetto di provvedimenti legislativi né è entrato a far parte concretamente di alcuna agenda politica. Si può pertanto ritenere che le diagnosi, sulla crescita del meridione, sono state eseguite sui corpi sbagliati.

E’ stata erroneamente presa in considerazione quella porzione di popolazione che il territorio è riuscito ad esprimere, ma che goccia dopo goccia, è andata via, portando con sé tutti i buoni auspici delle misure che comunque sono state adottate.

Le ultime rilevazioni sull’entità e la composizione dell’emigrazione non solo confermano l’assunto, ma tracciano i contorni di uno scenario che non può che essere definito drammatico. Svimez, nella sua relazione annuale, fornisce alcuni dati aggregati che offrono un quadro nitido della situazione e confermano l’ipotesi della mutazione genetica del Mezzogiorno, territorio indebolito, finito al centro di due dinamiche: la politica di attrazione di capitale umano di Stati come la Germania e la Gran Bretagna, la crescita della povertà e della popolazione giovanile a rischio esclusione.

Le cifre sull’emigrazione non sono precise a causa delle numerose casistiche, si ritiene, tuttavia, che il dibattito potrebbe sfociare in una sola, cruenta, modalità di rappresentazione: un cartellone luminoso analogo a quelli impiegati per indicare quanti chilowatt sono stati risparmiati grazie all’adozione di energie alternative. Lo stesso tabellone luminoso, andrebbe posto sui balconi dei Sindaci dei capoluoghi e dei Governatori delle Regioni meridionali e dovrebbe indicare il numero progressivo, uno ad uno, di coloro che dall’inizio dell’anno hanno lasciato il proprio territorio.

Il cartellone a led da un senso di ansia, ma i numeri peggiori, purtroppo, non sono quelli, ma altri e richiedono alcune elaborazioni. Gli studi sul Mezzogiorno si caratterizzano per gli ambiti di interesse, sempre molti vasti, e la grande quantità di dati trattato. Il disagio viene quasi sempre assicurato, ma un vero e proprio volto alle cause della stagnazione non viene quasi mai dato. Abbiamo provato a chiudere il discorso sulla condizione  del meridione in soli due numeri: (1) i giovani che giacciono in una condizione “latente” ovvero non sono impegnati in alcuna attività che consenta non solo di produrre reddito, ma di crearsi le condizioni affinché ciò possa accadere (cd NEET); (2) la popolazione che vive (o forse sopravvive) in una condizione di povertà.

Italia Popolazione Neet Incidenza
Meridione        20.905         1.933 9,2%
Centro Nord        39.890         1.578 4,0%
Totali        60.795         3.511

 

In Italia, su una popolazione di 60 milioni di abitanti vivono 3,5 milioni di NEET, di questi il 55% si trova nel Meridione nel quale abita il 34% della popolazione d il 45% nel Centro Nord dove risiede il restante 65%. Nell’area con il PIL pro-capite che raggiunge nel 2014 il 64% della media nazionale, vivono 1,9 milioni di ragazzi in assenza di reddito e con un futuro tutto da immaginare. Questo dato è stato di recente al centro di un focus dell’OECD che hanno lanciato un allarme sul peggioramanto della situazione italiana, situazione che riguarda, in paricolare, il meridione.

Quella dei NEET è una popolazione alla ricerca di una second (forse anche third) chance di inserimento lavorativo, una popolazione grande quanto le città di Napoli, Palermo e Bari messe insieme che è rimasta a vivere in Italia meridionale e cerca di costruirsi prospettive e condurre un esistenza dignitosa, ma che deve fare i conti con un secondo dato: le famiglie e la quota di popolazione che vive in una condizione di povertà relativa.

Incrociando i dati dell’utimo rapporto Svimez 2015 con le rilevazioni Istat sulle famiglie italiane emerge una sconcertante similitudine con il dato dei NEET, ovvero il 68% della popolazione che vive in condizione di povertà relativa vive in Italia meridionale, contro il 32% ubicato al centro-nord. Nel meridione, quindi, a fronte di una popolazione aggregata in 7.900 famiglie,  oltre il 20% vive con risorse giudicate insufficienti, si tratta di: una famiglia su cinque, 44 milioni di abitanti.

Italia Famiglie povere*    (%)  

 

Numero famiglie

Componenti nuclei familiari Popolazione povera*
Meridionale 21,10%         7.889 20.905 4.411
Centro Nord 5,30%       16.720 39.890 2.114
*Povertà relativa Totale 6.525
(Numeri in .000)

 

Ipotizzando – con qualche forzatura- che i NEET siano distribuiti in modo uniforme tra le famiglie meridionali, viene fuori che (almeno) 400 mila giovani sono allo stato esclusi da qualunque processo di crescita formativa, professionale, lavorativa e vivono in contesti familiari affetti da povertà relativa, condizione dalla quale dovrebbero venir fuori con le proprie gambe. 

Il corpo del meridione con il quale fare i conti è questo e non altri, e per porre in essere azioni di una qualche efficacia capaci cambiare i destini di 1,9 milioni di giovani ed alleviare le condizioni di circa 4,4 milioni di abitanti che vive in una condizione di povertà relativa, non occorrono solo strategie inedite, disegnate con una lungimiranza ai limiti del paranormale, ma soprattutto un esercito di supereroi di rinomata fama, in grado non solo di pensarle qielle strategie ma di porle in essere nonstante l’attrito amministrativo creatosi in decenni di incrostazioni burocratiche ed i colpi di coda di una politica per nulla intenzionata ad uscire dai processi decisionali che contano.

Chi manca all’appello e rende le previsioni puri esercizi teorici

Le gambe sulle quale si consuma l’emigrazione sono due, persone che contribuiscono a vari livelli al funzionamento della macchina pubblica ed i privati, intendendo per tali coloro che vanno a lavorare e studiare fuori dai confini del meridione e/o che impiantano aziende fuori dai luoghi di origine. Partiamo dai primi. Non si ha una mappa precisa dei luoghi di provenienza di coloro che operano nel pubblico, ai tempi del federalismo senza se e senza ma, furono svolte ricerche sulla quota di servitori dello Stato di origini meridionali. Il dato propagandistico funzionava in aggregato, ma scendendo nel dettaglio è possibile farsi un’idea più chiara del chi aiuto chi. Lo Stato ha imbarcato meridionali ai quali ha dato un’occupazione, o il meridione ha riempito caselle chiave, con professionalità di spessore, senza le quali lo Stato, e dintorni (Regioni, EELL), non avrebbero potuto funzionare?  Prendiamo due casi emblematici: i prefetti e gli insegnanti. Da un’analisi delle città di origine è emerso che coloro che svolgono questo ruolo fondamentale per l’ordine pubblico provengono per oltre ¾ dalle regioni meridionali. Si tratta di un lavoro complesso che richiede anni di preparazione ed esperienza maturate sul campo, una conoscenza dettagliata delle norme, un’attitudine a prendere decisioni sulla base di informazioni spesso non dettagliate ed in tempi talvolta brevissimi.

L’istruzione, il decreto buona scuola rappresenta in modo indiscutibile, ciò che si intende sostenere: l’Italia meridionale dispone di un corpo insegnante adeguato, cresciuto in termini quantitativi e qualitativi nel corso degli anni. Quel corpo serve alle regioni nelle quali si è formato, nelle quali ha consolidato un proprio equilibrio, assicurando, nonostante le pessime condizioni logistiche, un’offerta formativa idonea e della quale, proprio il meridione, non dovrebbe privarsi. Il governo centrale, per compensare lo sbilancio tra offerta (il corpo insegnante abilitato) e la domanda formativa (bambini in cerca di un docente) è dovuto intervenire con un provvedimento normativo basato su un algoritmo. Algoritmo che, nella sua misteriosità, dice molto di più di quanto sembra e testimonia, forse, come ha funzionato lo Stato in questi decenni: chi serve al Nord ed al Centro Italia, deve fare le valigie e partire per decreto legge, per quello che serve al Sud, parliamone, magari in un talkshow di seconda serata.

La diversa velocità ed il rigore dei provvedimenti che hanno caratterizzato, a seconda delle direzioni, i movimenti migratori verticali in Italia devono indurre ad una riflessione tra il senso del dovere del meridione nel rispetto delle esigenze di tutti e l’impegno concreto di tutti, verso le esigenze dell’Italia meridionale.

Chi dovrebbe mettere attuare il cambiamento?

I numeri scelti per dare un’idea dello stato dell’arte e della complessità del cambiamento sono, anche i questo caso, due: il debito e gli investimenti pro-capite. Il debito proviene dal passato è il differenziale tra la spesa, non solo per investimenti come stabilito dalla Costituzione, e le disponibilità. Il debito delle Amministrazioni locali non consolidato, comprende come è giusto che sia, anche i prestiti ricevuti dalle Amministrazioni locali e dalle regioni meridionali da parte del MEF nell’ambito della ristrutturazione dei debiti commerciali scaduti. Questo dato, citato nei report redatti per ciascuna Regione dalla Banca d’Italia, non viene menzionato stesso pur essendo l’effettivo stock di debito accumulato.

Campania Puglia Basilicata Calabria Sicilia Totale Media
Politiche di coesione* (a) 25,4 19 2,7 11,8 20,9 79,8  
Finanziamento pro-capite**         4.360         4.638         4.634         5.841         4.142           4.542
Debito non consolidato* (a) 17,9 5,0 0,9 5,4 13,4 42,6  
Debito pro-capite*         3.073         1.221         1.545         2.673         2.656           2.424
*Mld – Fonter Open Coesione
**Euro
(a) Fonte Open Coesione
(b) Fonte Relazioni regionali Banca d’Italia anno 2015

La tabella 3, riporta pochi numeri ma piuttosto impegnativi. Ottanta miliardi di investimenti da realizzare in cinque, massimo sette, anni in modo da far sì che ciascun cittadino abbia ottenuto i suoi quattro/cinque mila euro di investimento pro-capite con i quali dovrebbe poter cambiare il segno al PIL e portarlo ad un livello tale da rendere governabile l’altro dato, quello del debito che complessivamente è di oltre 40 miliardi .

Ogni individuo dotato di buon senso e che sappia come funzionano le cose in Italia meridionale sa che gli investimenti avranno un impatto di gran lunga interiore a quanto prospettato e il debito resterà lì, intatto, ancora per decenni. Da cosa deriva questo scarso entusiasmo e la ragionevole certezza che il cambiamento, ad assetto attuale, non avrà il ritmo necessario.

Un’ipotesi è che gli impatti auspicati passano dagli operatori pubblici attualmente preposti a svolgere queste complicatissime attività di programmazione e controllo, ad un corpo imbottito di giovani con poche speranze e famiglie che vivono in condizioni reddituali minime. E gli altri? Dove stanno quelli che invece saprebbero sia dare un contributo a spendere prima e meglio e quelli che hanno idee, innovano e trasformano la spesa in investimenti ed occupazione qualificata, innescando una vera, competitiva e duratura crescita?

Quelli non ci stanno, sono andati via, sono andati via per scelta o causa di un algoritmo, più o meno criptico, che prende il capitale umano dove c’è e lo rialloca. Non importa se quel capitale nato e cresciuto ne meridione, sarebbe vitale per il controllo dei conti per la gestione di situazioni complesse o, magari, per portare a compimento programmi complessi, di ampio respiro. Non importa se quel capitale umano potrebbe essere proprio quello giusto per attuare programmi coraggiosi, attuati con la giusta indipendenza decisionale.

Manca all’appello un’intera popolazione composto da profili variegati, individui versatili e specialistici che altrove hanno trovato il giusto riconoscimento per le proprie capacità e che il territorio, il corpo di ora, ha espulso o lasciato andare, senza opporre alcuna resistenza

La via d’uscita

La perdita di capitale umano, alla quale non si è voluto (e non potuto) porre rimedio è la causa della mutazione genetica del meridione d’Italia che è diventato un corpo inadeguato a governare il recupero del ritardo competitivo accumulato negli ultimi decenni. Un territorio fertile e propositivo, diventato un luogo nel quale si continua da decenni ad immettere risorse a pioggia senza riflettere su chi siano i destinatari effettivi di queste risorse. Con una metafora, il meridione appare come una casa con tradizioni

secolari, nella quale a poco alla volta se ne vanno tutti gli attrezzi e elettrodomestici, lasciando gli innumerevoli ricordi, la storia di famiglia, gli oggetti di pregio a specchiarsi e parlarsi addosso di tutto, tranne del fatto che, senza gli elettrodomestici, la casa è lenta, fuori uso, in sintesi: serve a poco.

E’ ancora possibile immaginare il rientro di una parte, anche minima, di quell’immenso patrimonio umano disperso? Quanto è utopistico credere davvero di attrarre il patrimonio (tale si può definire un capitale di elevato valore) che serve al meridione per riprendere il controllo del proprio destino? E’ una questione di idee e di provvedimenti. Due misure secche ed immediatamente cantierabili: (1) esenzione delle tasse sui redditi per coloro che, avendone le opportunità lavorative, intendano rientrare in Italia meridionale; (2) azzeramento delle imposte regionali, le addizionali ed ogni altro tributo locale, per tutti i funzionari meridionali che sono andati a prestare il loro contributo al funzionamento della macchina centrale ed in altre regioni. Back to my roots, un programma che promuove il rientro non solo dei cervelli, ma anche di tutti i corpi pregiati persi nel tempo, per creare sinergie mirate con le cellule creative che ancora si muovono e dare nuova vitalità ad una casa, nobile quanto si vuole, ma che potrebbe ancora ridivenire funzionante.

Base dati

  1. Crescita del PIL negli ultimi 100 anni, divario nord-sud
  2. Spesa pubblica pro-capite
  • Emigrazione
  1. Andamento turismo
  2. Andamento esportazioni

Fonti

https://core.ac.uk/download/pdf/6227146.pdf

http://www.rischiocalcolato.it/2013/06/serie-del-pil-dal-1861-ad-oggi-in-italia-grafici-e-mappe-regionali-2.html

http://www.programmazioneeconomica.gov.it/2016/04/19/andamenti-lungo-periodo-economia-italiana/

http://www.istat.it/it/files/2016/03/Indagine-spese-per-consumi.pdf

http://www.istat.it/it/files/2014/11/C03.pdf

http://www.miglioverde.eu/prefetti-italia/

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