Risorse europee divenute sostitutive dei fondi ordinari, lentezze della macchina amministrativa, tempi biblici nell’attuazione delle opere pubbliche: problemi acclarati di un Paese che continua ad interrogarsi su possibili soluzioni ma dimentica troppo spesso la domanda più importante: perché i problemi si ripropongono come tali da così tanto tempo? Parte da questa premessa il ragionamento che Sabina De Luca, componente del Comitato promotore del Forum Disuguaglianze e Diversità, consegna alla platea dell’area convegni del museo di Pietrarsa in occasione, il 6 dicembre scorso, del dibattito dal titolo “POST2020”.
De Luca, che da anni è impegnata sul fronte delle politiche di coesione essendo stata anche alla guida del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica, ricorda il periodo 2000-2006 quando gli stessi temi agitavano il dibattito sulla programmazione europea. “Dopo oltre 10 anni le cose non sono cambiate, anzi se possibile sono peggiorate” ammette. E questo perché “la gamba dei fondi ordinari oggi è venuta totalmente meno” e dunque la politica dei fondi di coesione è sola più che mai.
Anche sul fronte della capacità amministrativa le cose non sono migliorate. Per questo l’esponente del Forum Disuguaglianze e Diversità fa eco a chi prima di lei aveva parlato di internalizzazione dell’assistenza tecnica da parte delle pubbliche amministrazioni precisando che “si tratta di una precondizione necessaria” perché, “stando ai dati, l’amministrazione italiana non solo è tra le più vecchie in Europa ma è anche largamente sottodimensionata”.
L’auspicio, dunque, è che la nuova programmazione diventi la molla per dar il via a un necessario ammodernamento della macchina burocratica italiana. La logica potrebbe essere quella dei Pra, i Piani di rafforzamento amministrativo, o meglio delle condizionalità ex ante. Perché, se i primi non hanno avuto troppa fortuna, le seconde hanno dimostrato chiaramente che “la leva della coesione può contaminare positivamente anche pezzi di politica ordinaria”.
Ovviamente questo non basta e Sabina De Luca lo dice apertamente. Occorrono scelte chiare, anche a livello politico, che vadano soprattutto nel senso della concentrazione. Il ragionamento è semplice: è inutile, quasi dannoso per una regione disperdere energie su tutte e 330 azioni dell’accordo di partenariato. Ogni territorio dovrebbe piuttosto “da quel menù essere capace di individuare le strategie più coerenti con le proprie esigenze e con il quadro europeo”. Una simile concentrazione di obiettivi produrrebbe risultati maggiori per i cittadini ed eviterebbe “la proliferazione di aspettative che rischiano di tradursi in disillusione e quindi in allontanamento dalla politica di coesione”.
L’ex numero uno del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione economica, chiude parlando del ruolo delle città e delle lentezze nell’attuazione dei programmi. “L’eterno dilemma del nostro Paese – dice – risiede nella difficoltà a mettere insieme strategia e operatività. Ma una riconciliazione è necessaria”. Come? “Interpretare il concetto di coprogrammazione nel modo migliore vuol dire mettere a un tavolo tutti i livelli di governo responsabili dell’attuazione di questi programmi e cercare di collassare in un solo percorso i diversi elementi”. Del resto tentativi di procedere secondo questa logica “sono stati fatti in passato, nel Friuli per esempio o in Lombardia, e sono quelli che stanno producendo i migliori risultati”. Il codice del partenariato “forse nel 2014-20 è arrivato un po’ tardi per condizionare tutto il percorso. L’invito è a usarlo appieno con la prossima programmazione”.
Guarda l’intervento di Sabina De Luca al convegno di Pietrarsa
Da Poliorama del 16 gennaio 2019