di Alessandro Coppola
L’emergenza sembra aver confinato la Scuola e le scuole dentro i computers. Fino a ieri rincorrevamo le LIM in aula ed ora i tablets perché nessuno rimanga indietro.
La memoria di infinite e chiassose schiere di studenti all’entrata e all’uscita delle classi cede il passo all’immagine di centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze, apparentemente in solitudine, alle prese con gli id di connessione alle chat rooms, con le password della piattaforma più performante, con gli “uploads” dei compiti svolti e con lo “scarico” dei documenti e files da studiare per l’indomani. Lo stare soli, anche nel mondo degli adulti, ha determinato nei giorni di distanziamento sociale opportunità ma anche angosce e, talvolta, amplificato le paure.
Ci siamo interrogati su quanto stia frullando nella testa dei giovani, dei nostri figli, ai quali fino a ieri abbiamo consegnato un decalogo di certezze di cui forse non eravamo sicuri nemmeno noi? Potremo ancora riflettere, rallentare, decantare ma avendo, in tutti gli scenari, meno scambi con l’esterno. E poi si dovrà studiare, non come prima però.
Abbiamo tutti letto e sentito analisi, discussioni, pareri di studiosi, opinionisti e sociologi, esperti e sindacalisti, sui meriti e sui limiti della didattica a distanza. La politica ha intanto solo affilato le armi come Plutarco tra Le Virtù di Sparta. Opposte fazioni, come spesso accade, assai radicalizzate. Nessuno che abbia ancora mai chiesto ad uno studente come abbia vissuto una fase, indotta da estreme esternalità, o cosa pensi di una rivoluzione così repentina del modo di fare scuola che, nella storia repubblicana, non si era mai conosciuta.
Questo è il punto di caduta di ogni incompiuto ragionamento che segna la distanza dalla didattica da parte di chi, a tutti i livelli della comunità educante, immaginando di avere già tutte le risposte, non offra la necessaria centralità agli studenti. Ciò rappresenta il principale limite al progresso cognitivo e culturale della scuola italiana. Lo sforzo compiuto in queste settimane da insegnanti e dirigenti scolastici è stato straordinario per quanto – all’inizio – la situazione di imprevedibile vastità ha determinato disorientamento e confusione. Ed altrettanto smarrimento ha pervaso in maggioranza gli allievi. Non abbiamo ancora dati definitivi sull’allineamento generale e certamente, da nord a sud, ci saranno scenari più critici e spaccati della comunità scolastici maggiormente incoraggianti. In realtà adesso non sappiamo un sacco di cose. Si tratta di una fase, non sappiamo ancora quanto lunga e ci auguriamo sia la più breve possibile.
Ma, bisogna cominciare a pensare ad un’idea di scuola diversa che farà del contingentamento degli orari, delle classi e dei programmi il tratto distintivo di un pezzo di strada da fare nei percorsi educativi e formativi. È anche l’occasione per colmare i ritardi che pure ci sono e, in alcune aree del paese, sono profondissimi laddove più evidente si avverte il disagio sociale e culturale. Così come critiche sono le lacune in termini di strutture, organici, strumenti, e distorsioni del sistema di istruzione anche in realtà per niente deprivate o a rischio di marginalizzazione.
La dematerializzazione culturale è fenomeno troppo complesso per essere affrontato in maniera approssimativa nel bel mezzo di una pandemia e, diciamocelo, era in corso anche prima dell’emergenza. E, soprattutto, riguarda più mondi e non soltanto quello della scuola. E, vale la pena aggiungere, il prevalente progressivo passaggio dal reale al virtuale nelle relazioni umane era già prima in mezzo al “noi” che abbiamo smarrito e nulla ha a che vedere con l’unico mezzo che ha reso possibile in questi drammatici giorni che le classi fossero unite e “connesse”, garantendo appartenenza e unità.
Lo sviluppo di nuovi approcci e metodi apre la strada alla coesione sociale. Non è ancora sapere innovare ma un primo passo questo sì, anche perché altra soluzione non c’è nel tempo breve. Meglio dunque esercitarsi a dovere in tema di didattica a distanza per non dover affrontare domani gli abissi più bui a causa della distanza, prima ideologica e intellettuale, da una didattica che, ancor più che nel passato, necessita di essere autentica, aperta, inclusiva e solidale. Da Barbiana in avanti eravamo abituati a perseguire, nei casi di eccellenza, una funzione didattica basata sulla quotidianità della relazione educativa dove l’apprendimento è tutt’uno con una serie di azioni e comportamenti del discente che lega intrinsecamente operazioni manuali, fisiche, mentali ed emotive.
L’ascolto, l’osservazione, la proiezione verso gli allievi si sono trasformati improvvisamente e lasceranno il segno a lungo. Possiamo temporaneamente essere disposti a perdere il contatto tra i banchi, non ci è consentito smarrire l’identità. Non tutto è perduto se però sapremo cogliere la sfida che è davanti anziché ripercorrere rituali stantii e miseri cliché da forbiti e inutili addetti ai lavori, ciascuno sulle proprie posizioni e convinzioni consolidate.
Post scriptum
Una ragazzina di nove anni, al quarto anno di scuola primaria, in una mattina del lockdown, scoprendo di dover fare ulteriori compiti per il pomeriggio con le programmate verifiche, ebbe un po’ di sconforto scaraventandosi sul divano. Dopo un mese di DaD in stretta osservanza decisi, da genitore esausto di quarantena, di essere indulgente e di rassicurarla. Le dissi che poteva non fare i compiti e non collegarsi affatto, dedicandosi ad altro. Mi rispose immediatamente dicendo: “… e invece io mi collego, senza compiti ma mi collego …”, riportandomi indietro di decenni quando entravo a scuola senza versione di latino sfidando l’interrogazione “al massacro” per essere comunque in classe. Entrare in classe era in qualche modo una via d’uscita. Quella frase decisa mi aprì a una speranza con la certezza che, dalla sua classe e dai suoi insegnanti, Chiara avesse già appreso – e conservato gelosamente tra i cromosomi educativi – l’imprescindibile necessità di costruire e scambiare con gli altri sogni, idee, pensieri.
Più in là, le racconterò di questo tempo infausto quando studiando l’Alighieri scoprirà: “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io fossimo presi per incantamento e … sì che fortuna od altro tempo non ci potesse dare impedimento, anzi, vivendo sempre in un talento, di stare insieme crescesse ’l disio”.