EconomiaImpreseGrassi (Confindustria): “Quale sussidistan? Servono misure strutturali”

Grassi (Confindustria): “Quale sussidistan? Servono misure strutturali”

di Francesco Avati

C’era una volta l’Italia cantata da Toto Cotugno con “gli spaghetti al dente” e un “partigiano come presidente”. C’era e oggi forse non c’è più. Di certo, il Capo dello Stato non è più di quelli che han fatto la guerra né la pasta a tavola è cosa più tanto scontata. Quel paese allegro di allora, quell’Italia “che non si spaventa” è attanagliata oggi da una crisi che ha aggiunto ai problemi economici degli ultimi anni quelli inaspettati di un’emergenza sanitaria senza precedenti.
E forse anche per questo che nel dibattito politico-economico lo stivale diventa il “Sussidistan”. Il termine lo conia il presidente di Confindustria Carlo Bonomi che, durante la sua prima assemblea pubblica, critica i contributi a pioggia chiedendo al governo scelte mirate. Riferendosi alle risorse del Recovery Fund dice: “Aderire allo spirito dell’Ue significa una visione diversa dai sussidi per sostenere i settori in difficoltà. Nel lockdown il governo ha assunto misure di sostegno alla liquidità delle imprese e di rifinanziamento al fondo Pmi, ma i sussidi non sono per sempre, né vogliamo diventare un Sussidistan”. E spiega: “Sulle filiere in difficoltà occorre uno sforzo particolare, ma non sussidi né ulteriore indebitamento” quanto piuttosto “condizioni regolatorie e di mercato tali da tornare ad accrescere produzione e occupazione”.
I sussidi dunque per Confindustria non sono la soluzione per un paese che adesso “si spaventa”, come ricanterebbe Cotugno.
Che cosa allora? Lo chiediamo al presidente di Confindustria Campania Vito Grassi.
“Il termine “Sussidistan” va inquadrato solo come una modalità sintetica e originale per denunciare un concetto chiaro e lineare: i bonus a tempo possono essere una misura-tampone, importante in situazioni emergenziali, come accaduto con il sostegno alla liquidità delle imprese e gli interventi in funzione anticrisi durante il lockdown di marzo e il successivo che ormai dura da settembre, ma non rappresentano in sé una misura strutturale sulla quale fondare un vero rilancio dei nostri territori con una formula nuova rispetto alle ricette viste finora. Bisogna, dunque, inquadrare le risorse disponibili in pochi strumenti incisivi, mirati ad aggredire i fattori arcinoti che rappresentano il freno prevalente all’attrattività degli investimenti. È necessario, insomma, guardare oltre l’emergenza per impostare una strategia di lungo periodo, che metta al centro le capacità, la resilienza e la cultura d’impresa delle aziende produttive”.

In che modo andrebbe riorganizzata, dunque, la gestione dei Fondi Europei?
“Occorre fondamentalmente restituirgli quel carattere di “addizionalità” che hanno ormai perso, a partire dal completamento del ciclo 2014-2020 dei Fondi strutturali, di cui a giugno di quest’anno risultavano ancora da spendere 45 miliardi entro il 2023. Il Bilancio 2021-2027 poi prevede risorse per le politiche di coesione per 322 miliardi euro, di cui circa 42 dovrebbero essere riservati all’Italia, ai quali si aggiunge un cofinanziamento nazionale per 39 miliardi, previsto dalla recente Legge di Bilancio. Da segnalare anche che Next Generation Eu aggiunge per gli anni 2021-2022 altri 47 miliardi, di cui circa 14 all’Italia, per rafforzare i Fondi strutturali nel passaggio dal ciclo di programmazione 2014-2020 al nuovo, e i 17,5 miliardi di euro (di cui, per ora, sono ipotizzabili risorse per circa 1 miliardo all’Italia) del Just Transition Fund, per affrontare i problemi regionali di riconversione industriale per la de-carbonizzazione e la transizione verde. A tutto questo si aggiunge la riprogrammazione del Fondo Sviluppo e Coesione (FSC), riguardante le risorse provenienti da ben tre cicli di programmazione (2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020) tra interventi effettivamente realizzabili (risorse già impegnate e impegnabili) e risorse da riallocare con Piani di Sviluppo e Coesione (PSC), e il rifinanziamento 2021-2027 per 50 miliardi, anche questo disposto dalla Legge di Bilancio, e altri 23,5 miliardi da reperire nelle prossime Leggi di Bilancio, secondo il Piano Sud 2020-2030. Insomma, siamo di fronte ad una straordinaria opportunità non solo di rilanciare l’economia del Mezzogiorno e dell’intero Paese, per avviare quei profondi cambiamenti strutturali di cui l’Italia ha ormai bisogno da un ventennio, in cui le PMI del Mezzogiorno e del Centro-Nord possono svolgere un ruolo determinante, se sapranno affrontare con decisione le loro rilevanti criticità e potranno contare su un’efficace politica di interventi da attivare già nell’immediato e da completare con impegno e responsabilità nel medio e nel lungo termine”.

Quali sono i settori chiave su cui investire queste consistenti risorse per rilanciare l’economia?
“E’ necessario predisporre una programmazione degli investimenti coerente con le profonde riforme strutturali a cui va strettamente collegata un’efficace azione capace di integrare i grandi temi al centro del dibattito in Europa – sostenibilità, resilienza e digitalizzazione – con obiettivi di superamento delle criticità strutturali delle PMI. Occorre, quindi, una politica nazionale dedicata alle PMI, per impiegare efficacemente e tempestivamente le cospicue risorse disponibili e programmabili. Ma fondamentali, in tal senso, saranno anche gli investimenti in infrastrutture energetiche, digitali e di trasporto tutti finalizzati a raggiungere obiettivi importanti nel medio e nel lungo termine”.

A quali obiettivi si punta?
“Per le infrastrutture energetiche, ad esempio, lo sviluppo di interventi infrastrutturali sulle reti di trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica e del gas naturale risulta prioritario per consentire il raggiungimento degli obiettivi di de-carbonizzazione, risolvere le congestioni e ridurre gli oneri di gestione correlati al bilanciamento. Le infrastrutture digitali avrebbero effetti immediati su efficienza, produttività, accesso a mercati internazionali, miglioramento dei processi interni. Infine, per le reti di trasporto, collegamenti migliori vuol dire più scambi commerciali, imprese più competitive, più lavoro, anche per i giovani, più ricchezza prodotta, più servizi richiesti e dunque offerti, maggior benessere. Interventi che richiedono una precondizione di base: uno snellimento della burocrazia, che rappresenta il nemico numero uno per chi fa impresa. Tema, questo, ben noto anche all’Unione Europea che ne fa una conditio sine qua non per accedere ai fondi del Next Generation EU”.

Quanto pesa la burocrazia sul sistema produttivo italiano?
“Secondo gli ultimi dati disponibili la burocrazia costa alle imprese italiane circa 30 miliardi di euro l’anno. E anche su questo fronte il Sud risulta essere particolarmente penalizzato rispetto al Nord, dato che con i suoi 8.125 euro per azienda registra costi superiori alla media nazionale che è pari a 7.900 euro. Quale investitore sarebbe mai disponibile a rischiare il proprio capitale in una situazione del genere? Fino a quando la risposta sarà nessuno, il nostro Paese non avrà reali prospettive di crescita, soprattutto se, ai costi ed ai tempi della burocrazia, si dovranno aggiungere quelli della giustizia, quelli del credito e quelli della sicurezza”.

Ma con il Decreto Semplificazioni non sono stati fatti passi in avanti?
“Il decreto Semplificazioni, convertito nella legge numero 120 dell’11 settembre, rappresenta un primo tassello utile, ancorché migliorabile, di un necessario percorso di adeguamento graduale del nostro Paese ai livelli di efficienza amministrativa dei suoi principali competitor. Il provvedimento impatta su importanti nodi – strutturali e procedimentali – dell’azione pubblica, che rallentano le procedure e bloccano gli investimenti. In particolare, contiene misure volte a razionalizzare i procedimenti amministrativi e a renderne più certi i tempi di conclusione, da un lato, rafforzando il ricorso a istituti come il silenzio-assenso, l’autocertificazione, la perentorietà dei termini e i controlli ex post e, dall’altro, attivando la cosiddetta “leva” digitale, attraverso interventi volti a rafforzare i sistemi informatici e i servizi digitali dell’amministrazione. Ma l’efficacia di questi strumenti dipenderà soprattutto dall’immediatezza dell’attuazione e dalle scelte che le singole amministrazioni saranno in grado di realizzare per dar seguito alle novità del provvedimento”.

Quali consigli si sente di dare agli imprenditori che vedono nero per il futuro delle loro aziende?
“Agli imprenditori dico di guardare oltre la paura, che fa perdere di vista l’obiettivo strategico da perseguire. Diceva Churchill: “Il successo non è definitivo e l’insuccesso non è fatale. L’unica cosa che conta davvero è il coraggio di continuare”. Ebbene, dobbiamo continuare a pensare al futuro con l’entusiasmo e l’ottimismo che rappresentano le doti fondamentali per chi vuole fare il nostro mestiere. Sicuramente la pandemia inciderà sul fatturato del tessuto produttivo delle PMI che, secondo le ultime stime di Cerved e Confindustria, dovrebbe diminuire nel 2020 di 11 punti percentuali (fino al 16,3% in caso di ulteriori lockdown), mentre la redditività lorda dovrebbe precipitare del 19%. Questo potrebbe provocare, a fine 2021, una perdita di ben 1,4 milioni di posti di lavoro e una riduzione del capitale pari a 47 miliardi di euro (il 5,3% del valore delle immobilizzazioni), qualora non ci siano, finite le attuali misure di sostegno, prospettive di rilancio che vadano oltre le misure emergenziali di sopravvivenza. Ma l’economia ripartirà. È ripartita nel dopoguerra, lo farà dopo la fase più critica del Covid-19, anche se con modalità del tutto nuove. La resilienza di cui si parla tanto permetterà agli imprenditori di adeguarsi trovando in se stessi risorse prima impensabili, per scorgere una nuova strada da percorrere. Da italiani, abbiamo fantasia e genialità per inventare, per creare nuovi inizi. Il mondo è cambiato radicalmente da quando ho iniziato a fare impresa e ogni volta che mi sono fermato a chiedermi cosa fare, la risposta è stata: andare nella direzione del cambiamento, con il supporto necessario della creatività e della vocazione all’originalità. I giovani ci stanno insegnando ad essere smart, anche per dedicare più tempo alla crescita personale. Ascoltiamoli. Creiamo una sinergia fra la nostra esperienza e il loro modo di vedere il mondo: quella è la strada verso il futuro”.

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